Segnali positivi per il comparto, che non recupera i ritardi strutturali rispetto agli altri Paesi. Alcuni comparti totalmente assenti. Forte lo sbilanciamento verso i servizi.
Quali segnali cogliere dai dati che emergono dall’Osservatorio eCommerce b2c presentato questa mattina a Milano dalla School of Management del Politecnico, in collaborazione con Netcomm?
A fermarsi alle sole cifre d’insieme, segnali tutto sommato positivi.
Si torna a parlare di crescita, dopo il difficile 2009, con dati di incremento che sembrano tornare indietro di un paio di anni, al periodo pre-crisi.
Il comparto, come ricorda Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio, viene misurato solo sulle vendite di prodotti e servizi, escludendo dunque home banking, gioco online e contenuti digitali, effettuate su siti italiani o di aziende straniere che abbiano almeno una sede in Italia.
E in questo 2010 dovrebbe riuscire a mettere a segno una crescita del 16% a 6,6 miliardi di euro.
Per altro, dato questo importante, anche se di fatto rappresenta una riprova del ritardo accumulato dall’Italia rispetto agli altri mercati di riferimento in Europa e nel mondo, la crescita attesa per il nostro mercato nazionale è decisamente superiore a quella prevista per gli Stati Uniti o per il mercato tedesco.
Ma non è tutto.
La ventata di ottimismo sembra coinvolgere tutti gli operatori coinvolti nell’indagine, circa 200, che nell’88% dei casi dichiarano di attendersi una chiusura d’anno in crescita. E a fronte di un buon 46% di operatori che attesta le sue previsioni nell’ordine del 20%, solo il 9% delle realtà interpellate parla di una chiusura d’anno in negativo.
Ma, come sempre accade, è lo sguardo da vicino che mette in evidenza anche i nei. Che anche in questo caso non mancano.
Il primo neo viene da un’analisi della dinamica della crescita.
Se è vero che a fronte di una sostanziale stabilità dello scontrino medio, la crescita deriva dall’aumento degli scontrini stessi, dato questo estremamente positivo , il contraltare è che il numero di utenti resta ancora esiguo, ancorato a circa 8 milioni di web shopper, laddove negli altri mercati di riferimento l’ordine di grandezza si attesta sui 20, 30 e persino 45 milioni di persone.
È evidente che proprio questa disparità crea il primo grosso differenziale con gli altri Paesi.
Il secondo è dato invece dalla tipologia di prodotti e servizi acquistati online.
Anche se quest’anno le vendite di prodotti dovrebbero registrare una crescita del 20%, con una punta addirittura del 40% per quanto riguarda il settore dell’abbigliamento, sono ancora i servizi (che crescono del 15% anno su anno) a farla da padrone, con la punta d’eccellenza rappresentata dal turismo, che rappresenta oltre il 50% del giro d’affari complessivo dell’ecommerce b2c italiano.
Seguono, nella classifica stilata dal Politecnico, Informatica ed elettronica, attestate al 10% del totale, assicurazioni (9%), abbigliamento (7%), editoria e musica (3%).
Sostanzialmente, ed è qui uno dei nodi cruciali evidenziati dalla ricerca, i due terzi delle vendite online in Italia sono rappresentate dai servizi.
Il dato appare ancora più evidente se le numeriche italiane vengono rapportate a quelle relative ad altri mercati internazionali.
Si parte, va detto come premessa metodologica, da numeri diversi.
Dai 6,6 miliardi di euro di volume d’affari generato in Italia va tolto infatti circa un miliardo di dollari di prodotti e servizi acquistati dall’estero, aggiungendo però il volume di vendite generato da utenti italiani su siti stranieri.
Gli italiani, secondo questo perimetro, online acquistano beni per 7,8 miliardi di euro.
La metà della Francia, un sesto del Regno Unito, un venticinquesimo rispetto agli Stati Uniti.
In Italia, fatto salvo il caso Esselunga che rappresenta una lodevole eccezione con limitata presenza territoriale, ci sono settori come il grocery praticamente assenti dal paniere dei beni acquistabili. O come l’arredamento, fatto salvo, anche in questo caso, il recente ingresso di Poltrone & Sofa nelle vendite online.
Come risultato ne consegue il forte sbilanciamento dell’offerta verso i servizi.
In Italia 1 euro su 3 viene speso per prodotti, negli Usa il rapporto è 2 euro su 3, nel resto d’Europa è 1 euro su 2.
E se a questo si aggiunge la sostanziale stabilità dei player del comparto (i primi
20 operatori rappresentano stabilmente i tre quarti del mercato), non si può che trarne qualche conseguenza logica.
Ferme restando le difficoltà strutturali, rappresentate dalla banda larga o dalla diffusione di Internet nella famiglia, manca la forte presenza dei retailer tradizionali, che facciano un investimento sensibile sull’ecommerce, in un’ottica di multicanalità.
È come se non avessero ancora trovato il bandolo della matassa, è stato detto nel corso della presentazione.
E il paragone rende l’idea.