Liquid computing. La versione Bea del concetto di Soa

Nel corso dell’annuale user conference, la società californiana ha presentato la propria visione della Service oriented architecture, basata su tre pilastri: compatibilità, adaptive e produttività. Forte l’accento sui mobile Web service, grazie alla nuova tecnologia Alchemy.

Secondo Gartner, entro il 2008 oltre il 60% delle aziende utilizzerà Soa (Service oriented architecture) come principio guida nella creazione di applicazioni e processi mission critical. Oggi questo concetto sembra essere molto in voga. Lo specialista di infrastrutture applicative Bea ha utilizzato la cornice privilegiata del suo eWorld 2004 per illustrare la propria visione di Soa. Alcuni lo chiamano grid computing, altri on demand. Bea lo ha ribattezzato liquid computing. L’idea alla base è la stessa per tutti: garantire lo sviluppo di applicazioni nativamente pre-integrate, riducendo i tempi di deploy e assicurando la massima riusabilità dei componenti, trattando il software alla stregua di un servizio richiamabile e fruibile su richiesta.


“Per noi, il liquid computing si fonda su tre pilastri – ha tenuto a precisare Alfred Chuang, co-fondatore, presidente e ceo di Bea Systems -. Infatti, la massima interoperabilità tra le diverse applicazioni si deve necessariamente accompagnare a una flessibilità senza precedenti delle stesse. Architetture flessibili garantiscono sistemi fluidi, che si autoamministrano, reindirizzando le risorse laddove si rendono più necessarie. Questo permette di creare infrastrutture sufficientemente robuste da consentire di far passare sul Web, via Html, qualsiasi applicazione, transazione o dato, anche critico. Tutto questo si sposa con la necessaria attenzione alla produttività e alle prestazioni, vero nodo critico di un’architettura siffatta”. Bea, da parte sua, rafforza questo impegno, che negli scorsi mesi faceva capo al progetto Sierra, con una serie di iniziative che vanno nella direzione di favorire la comunità degli sviluppatori Java. Nel corso delle ultime settimane, infatti, si è arricchito l’elenco dei controlli di WebLogic Workshop, che fanno riferimento all’iniziativa open source della casa californiana, battezzata Beehive. Inoltre, la società ha attivato online un Technology Center, accessibile al sito www.dev2dev.com, e ha inaugurato Soabi (Soa Blueprint Initiative), in collaborazione con The Middleware Company. Si tratta di una serie di principi e best practice, facilmente condivisibili e riutilizzabili, pensate per migliorare l’orchestrazione delle applicazioni, in ambienti Soa, basate sulla propria piattaforma WebLogic. “Entro il 2009 vogliamo arrivare a fatturare 3 miliardi di dollari l’anno – ha concluso Chuang -. E per ottenere questo ambizioso obiettivo l’unica vera strada percorribile è quella dell’innovazione. Infatti, oggi investiamo circa il 12% del nostro fatturato in ricerca e sviluppo. L’idea, non appena ci saranno segni che la congiuntura in atto volge al termine, è di arrivare al 14,5%”. Molto, però, è già stato fatto e la società ha illustrato alla platea della sua user conference le altre iniziative con cui intende dare una forma concreta al liquid computing. Poco, per la verità, è stato detto in merito a QuickSilver, nome in codice di un progetto che, a detta dei vertici di Bea, dovrebbe garantire “livelli di compatibilità e interoperabilità, lungo tutto il layer applicativo utilizzato in azienda, senza precedenti”.

Le novità di Alchemy


Adam Bosworth, chief architect e senior vice president Advanced Development della società ha, invece, fornito una dimostrazione concreta delle opportunità offerte da una tecnologia, ancora in fase di sviluppo, battezzata Alchemy.


“Si tratta della traduzione in ambiente mobile dei servizi Web – ha precisato Chuang -, con l’intento di garantire che la maggior parte delle applicazioni aziendali di supporto al decision making siano disponibili in modalità wireless”.


La piattaforma si basa su standard Web service quali SynchMl, Xhtml e JavaScript, abbinati ad alcune minori estensioni di Soa. Si propone di sfruttare i principi della comunicazione asincrona per consentire anche agli sviluppatori meno avvezzi a Java o J2Ee di creare, mediante operazioni di drag-and-drop, applicazioni accessibili dai più svariati apparati wireless. In pratica, fornisce un’interfaccia intuitiva per le diverse applicazioni aziendali, che saranno così utilizzabili anche al di fuori dell’impresa, in modalità wireless. Di fatto, questo consentirà agli utenti di lavorare offline su dati e software, usando memoria cache addizionale, fatta salva poi la possibilità di sincronizzarli con quelli che risiedono sul sistema informativo centrale non appena sarà disponibile una connessione Internet. Alchemy includerà una serie di template, per adeguare il formato di visualizzazione delle applicazioni ai dispositivi di qualsiasi dimensione e con schermi di differenti misure, oltre a plugin con i più diffusi browser Web.


“Si tratta di una tecnologia che, con tutta probabilità, vedrà una concreta applicazione commerciale non prima di due anni – ha sottolineato il Ceo – ma su cui stiamo investendo parecchio. Abbiamo anche siglato alcune partnership con Nokia, Intel ed Ericsson per garantire il supporto a una iniziativa, destinata a rafforzare, una volta giunta a maturazione, il nostro impegno verso la comunità open source“.

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