Lo dice il manager di Ibm Paolo Degl’Innocenti, spiegando che l’innovazione tecnologica è frutto di una lunga semina e che deve puntare a due obiettivi: rendere efficienti i workload e dare flessibilità operativa. Il resto sono chiacchiere.
Per Paolo Degl’Innocenti, direttore del Systems and Technology Group di Ibm Italia quello appena passato è stato un grande anno per la società, e non casualmente.
Power 7, Ex5 (Intel) mainframe, nuovi dischi low e midrange: tutte evoluzioni pianificate dalla ricerca e sviluppo, date al rilascio, che portano il manager senese di lungo corso Ibm ad affermare che «un anno così non l’avevo mai visto. I laboratori hanno fatto un lavoro eccezionale. E il mercato ha risposto un modo immediato».
Merito anche del nostro Paese. «L’Italia – dice Degl’Innocenti – nella seconda metà del 2010 ha fatto risultati migliori della media mondiale. Perché specie in ambito enterprise abbiamo una buona schiera di early adopter».
E per il 2011 si prospetta la stessa potenza di fuoco?
«Abbiamo un calendario di annunci cadenzati in tutte le aree – rivela – specie in quella storage, dove abbiamo fatto acquisizioni importanti. Ma rafforzeremo tutta la linea di sistemi rinnovata lo scorso anno. Tutte le piattaforme saranno potenziate».
In che modo?
Su due filoni: workload e flessibilità operativa.
Il primo spinge a trovare la miglior architettura per i lavori che si deve svolgere.
Una definizione che è propria di Ibm: «non abbiamo un’unica architettura per tutte le stagioni. Noi andiamo con cose diverse dall’Oltp adl datawarehouse».
Quella di Ibm, dunque, pare una matrice architetture/workload e la definizione proposta piace a Degl’Innocenti.
Riguardo la flessibilità operativa, per gli utenti si tratta di intenderla su tre filoni.
Il primo: l’aggiornamento delle piattaforme, che dà un primo ritorno economico oggettivo determinato dalle prestazioni. Ma non è strutturato e serve essenzialmente per consolidamento e virtualizzazione. Non solo server, anche storage.
Poi viene il livello dell’integrazione multi ambiente, per dimenticarsi le differenze provenienti dalla molteplicità dei sistemi operativi.
Infine si approda alla cosiddetta flexible It, fatta dalla condivisione di skill, applicazioni, dati, dentro il datacenter.
A questo stadio «non si comprano più sistemi, ma capacità elaborativa. Se servono più Mips compro quelli e non tutto il contorno. In sostanza, l’utente non si deve più porre il problema delle compatibilità architetturali, perché così non fa Roi. Si deve ottimizzare gli skill. È chiaro che è una visione, ma ci arriveremo».
Tre tecnici ogni commerciale
Per fare tutto questo servono competenze, è indubbio.
D’accordo anche il manager: «L’It andando avanti non si semplificherà. Il Cio oggi vive mille pressioni. Se gli si propina il messaggio della semplicità esasperata lo si porta fuori strada».
Messaggio forte, spiegato: «La Stg oggi ha un rapporto tecnici/commerciali di uno a uno. In passato era inferiore. Pianificato per il 2015 un rapporto di 3 a 1. Questo significa una sola cosa: competenze, perché il mondo It è complesso».
Un ragionamento che coinvolge anche i partner e, per estensione, gli utenti.
Come li si coinvolge in questo percorso di consapevolezza tecnologica?
Un buon esempio è il workshop “Fit For Purpose”, in cui Ibm parla con gli utenti dell’ambiente operativo e studia con loro la migliore soluzione tecnologica, in valore assoluto. Si cerca insieme la miglior architettura per il futuro.
E questa non è semplicità, ma governance della complessità.
Conoscere, conoscere, conoscere. Per lavorare meglio.
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