Aspettando il decreto attuativo, per la dematerializzazione l’Osservatorio del Politecnico di Milano invoca il ruolo di comunità Edi, grandi aziende, Pal, commercialisti e banche.
Pesa l’assenza del Decreto attuativo sull’obbligo di fatturazione elettronica, pesano le difficoltà percepite in termini di change management, pesano pochi benefici chiari, ma anche un costo ritenuto eccessivo e la mancanza di competenze. Sarà ma, di fatto, in Italia, il «reportage sul campo» di Alessandro Perego, responsabile scientifico di un Osservatorio ormai giunto alla sua quarta edizione, dipinge una diffusione della fatturazione elettronica “pura” a norma di legge «dove, in accordo fra le parti, i progetti prevedono l’invio di fatture generate, emesse, scambiate e conservate esclusivamente in formato elettronico», è sostanzialmente pari a zero. «Qualche caso c’è – ci prova Perego -, ma si tratta di aziende del settore farmaceutico che, più che la regola, paiono l’eccezione».
Un messaggio pesante da digerire, ma che vale la pena di analizzare sotto altri punti di vista. Al suo interno la fatturazione elettronica può, infatti, essere conservazione sostitutiva (sia delle fatture emesse, che di quelle ricevute); fatturazione elettronica “pura” a norma di legge, come pocanzi descritto, oppure dematerializzazione dell’intero processo ordine-pagamento. E siccome la normativa disponibile in Italia dal 2004 interviene sui primi due modelli, è su questi che Perego sceglie di concentrarsi. «Nel primo caso – spiega – si tratta di conservare le fatture emesse, o di digitalizzare e conservare quelle ricevute, senza lavorare su processi interaziendali e ottenendo in cambio benefici prevalentemente in termine di risparmio di spazio e materiali a fronte di investimenti piuttosto contenuti».
Ma ahinoi, a oggi, nel 2009, le stime dell’Osservatorio misurano in 2-3.000 le aziende che, di varie dimensioni e appartenenti ai settori più disparati, conservano in modalità sostitutiva fatture attive e passive o altre scritture contabili.
Con ciò, per Perego, nonostante i dati evidenzino una buona dinamica, con tassi di crescita del 40% rispetto al 2008, i numeri sono ancora limitati «e a un clima di generale interesse, non corrisponde un progetto d’adozione concreto». A pesare sarebbe un limitato livello di conoscenza del tema in oggetto, «soprattutto da parte del top management».
Per giunta, ci sono ancora difficoltà nel misurare i benefici delle attività di investimento ed esiste una percezione giudicata «comprensibile in quest’area», di limitata priorità d’investimento. Il risultato è che nessuna delle 2-3.000 aziende che attuano la conservazione sostitutiva sta muovendo nella direzione di aggiungere anche lo scambio elettronico delle fatture per trasformare il proprio processo in fatturazione elettronica “pura” a norma di legge. E non consola pensare che un terzo affermi di voler andare verso l’adozione di più significativi progetti, visto che un buon 58% non ritiene fondamentale concentrarsi sulla conservazione sostitutiva.
«Al fine di modificare questa situazione – incalza il responsabile scientifico dell’Osservatorio – occorre fare in modo che le comunità Edi introducano la conservazione sostitutiva come ultimo tassello per chiudere il loro percorso di dematerializzazione. Un ruolo fondamentale sarà poi giocato dal decreto sulla Pubblica amministrazione, mentre occorre lavorare anche su un progetto di dematerializzazione più ampio, che va oltre la sola fattura, e puntare sui commercialisti, in qualità di abilitatori verso le Pmi».
Passando al grado di diffusione dei modelli di integrazione del ciclo ordine-pagamento, si osserva l’adozione di strumenti Edi applicato in comunità di settore inerenti la relazione fornitore/produttore nell’automotive e negli elettrodomestici, la relazione produttori/retailer nell’elettronica di consumo, la relazione produttore/distributori nel farmaceutico e nel largo consumo, e quella fra produttori/grossisti nell’idrotermosanitario e nel materiale elettrico.
«Da questo punto di vista – fa notare Perego – sono circa 7.000 le aziende coinvolte nello scambio elettronico dei documenti in modo strutturato per un totale di una cinquantina di milioni di documenti scambiati». Dalla fotografia scattata il tasso di crescita è ancora molto limitato, tanto che Perego parla «di un 5-7% del valore complessivo degli scambi B2b in Italia, per 150-200 miliardi di euro gestiti in questo modo, rispetto ai 3.000 miliardi stimati sul transato business to business in Italia».
Anche in questo caso, però, nessun progetto sta evolvendo verso la fatturazione elettronica “pura” a norma di legge «sia per il vuoto interpretativo sugli scambi Edi, sia per un cambiamento culturale da parte di chi dematerializza i documenti, ma non i processi».
Mai come ora è auspicabile lavorare su cinque grandi aree progettuali «che – conclude il nostro interlocutore – riguardano la crescita delle comunità Edi, l’avvio dei progetti da parte delle grandi imprese, che hanno un ruolo di traino fondamentale, come pure i commercialisti, in riferimento alla diffusione presso le piccole e medie realtà. Non deve, poi, mancare l’ingresso nella partita della Pubblica amministrazione, anche locale mentre dalle banche ci attendiamo un cambio di rotta che porti gli istituti di credito a privilegiare maggiormente il proprio ruolo in qualità di attore chiave del ciclo fatturazione-pagamento, piuttosto che quello di fornitore di servizi di fatturazione elettronica».
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