Lo spread della digital transformation

Michele Lamartina, country leader di Ca Technologies Italia ha introdotto in anteprima oggi a Milano una ricerca che Freedom Dynamics ha realizzato nel mese di agosto sentendo 1500 executive in 16 paesi (85 gli italiani), il 70% di area It il 30% di Line of Business, su tre tematiche: Digital Transformation, DevOps e le Api.
La prima tranche, quantitativa, parla della “Exploiting The Software Advantage- Top ten lessons from Digital Disrupters“.

Michele Lamartina, country leader Ca Technologies
Michele Lamartina, country leader Ca Technologies

Ne è emerso un dato di fatto, ormai incontrovertibile, anche a sentire analisi analoghe: chi punta su software e sviluppo app, fino a diventare una software company, vince nell’agone competitivo. Gli altri no. Di più: c’è uno spread fra chi è già adesso un digital transformer e chi non lo è, che tenderà ad ampliarsi in futuro.

Di cosa si parla quando si dice Digital Transformation
Intanto una definizione di digital transformation. Quella più consona pare riguardare processi, business e forza lavoro che cambiano, e insieme muta il modo di relazionarsi, dentro l’azienda e con i clienti. Ma non basta.

Dai dati presentati da Vittorio Carosone, sales e partner director di Ca Technologies Italia, tutto parte dal software. Ma non da tutto il software. Solo le “modern app” contano per poter dire che la si fa, e lo dicono i manager intervistati. Noi qui vi offriamo le opinioni di quelli italiani.

I dati italiani

La maggioranza degli intervistati definisce la digital transformation come un processo strategico coordinato.
Se ne può parlare quando si fa, in ordine di importanza, mobile, webapp, social, wearable, IOT (già, l’Internet delle cose è all’ultimo posto in Italia: dato che fa riflettere).
La digital transformation incide, sempre in ordine di importanza, su prodotti e servizi sviluppati, customer satisfaction, forza lavoro, vendite, rapporto con fornitori.
Riguardo il suo contributo alla competitività, ne va della apacità di cogliere opportunità, nuovi modelli di business, aprire nuovi mercati.
E ci sono impatti sui Kpi: prima sulla customer retention, poi su customer acquisition, entrare globali, profitto globale.

Chi è un disrupter e chi no

Con i dati raccolti è stato possibile fare un Digital Effectiveness Index, un indicatore da uno a 10, che individua i disrupters, gli achievers e i mainstream (quelli che una volta erano i beginner, i follower e quelli che arrivavano per ultimi.. Nel mondo le percentuali sono 14% di disrupter, 32% di achiever e 54% di mainstream.
I primi fanno i risultati, i secondi si stanno muovendo meglio dei loro pari, i terzi sono normali e non hanno conseguito ancora benefici dal digitale.
L’indice globale dice che siamo a 6.1, in Emea a 5.9, a 5,7 in Italia, dove sono presenti solamente il 4% di distupter (nelle Telco, nel retail, nelle banche), il 39% di achievers e il 58% di mainstream. In pratica un’azienda su due da noi non fa digital transformation.

Vittorio Carosone, sales e partner director Ca Technologies
Vittorio Carosone, sales e partner director Ca Technologies

Dove va il budget IT

Oggi i digital disrupter nel mondo dedicano il 36% del budget It al digitale. Gli achiever lo fanno nella misura del 27% e i mainstream al 23%.Guardando più in là le distanze crescono, lo spread si amplia: a tre anni le percentuali passano a 48, 10 e 36%.
E se già oggi il digital disrupter fa due volte le revenue e 2,5 volte i profitti di un non disrupter, se ne capisce il motivo.
Questi dati hanno consentito di ricavare un decalogo del digital disrupter, che qui vi presentiamo come un countdown, diversamente da come ha fatto Ca technologies, andando dalla decima alla prima lezione, a-la-Gazebo.

Le dieci lezioni del digital disrupter

10: si liberino risorse per la digital transformation, e lo si faccia in modo consapevole.

9: approccio collaborativo e coerente nell’IT, con metodi Agile e DevOps. Si creino micro team fra IT e Line of Busioness che in 6-8 settimane fanno nascere l’applicazione.

8: efficienza ed efficacia del core business diventino concetti digitali.

7: sperimentare nuove strade non è vietato.

6: i canali digitali emergenti vanno sfruttati.

5: la gestione IT o è smart o non è, cioè non fa Roi.

4: le API vanno usate da terzi per alimentare ecosistema di sviluppo.

3: è la API economy, bellezza, e si basa sullo scambiare meglio internamente e all’esterno dati rilevanti.

2: urgono nuovi metodi di sviluppo e delivery del software, come DevOps.

1: serve dare più ruolo al software e alle app. Punto.

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