Che il machine learning sia la nuova frontiera dell’interazione tra l’uomo e le macchine con impatti evidenti e futuribili sulla vita quotidiana è cosa che da tempo si ripete.
Quanto e su quale scala questo possa avvenire forse non è ancora del tutto palese.
Un esempio concreto viene da Google, che in questi giorni ha pubblicato sul proprio blog dedicato a DeepMind (da lei acquisita due anni fa) ha raccontato come proprio grazie a DeepMind è riuscita ad affrontare una delle sfide più importanti per chi gestisce datacenter: il consumo energetico.
Un percorso lungo due anni
Scrivono i ricercatori Rich Evans e Jim Gao: “negli ultimi dieci anni abbiamo affrontato il tema del consumo energetico sotto tutti i punti di vista. Abbiamo sviluppato i nostri server super efficenti, abbiamo inventato nuovi sistemi di raffreddamento, abbiamo investito in risorse rinnovabili. Rispetto a 5 anni fa abbiamo una capacità computazionale 3,5 volte maggiore con lo stesso consumo energetico”.
I maggiori risultati, sostengono i due ricercatori, sono stati ottenuti quando si è deciso di applicare il machine learning di DeepMind ai datacenter.
Risultati misurabili, visto che si parla di una riduzione del 40 per cento dell’energia necessaria al raffreddamento.
Un risultato che, la società non manca di sottolineare, finisce per riflettersi anche sulle aziende che utilizzano la sua infrastruttura.
“Ogni miglioramento in termini di efficienza energetica riduce le emissioni nel nostro ambiente e grazie a DeepMind possiamo utilizzare il machine learning per consumare meno energia, contribuendo a indirizzare il grande tema dei cambiamenti climatici”.
Come funziona
Come questo avvenga viene spiegato dai due ricercatori.
Per il raffreddamento si utilizzano apparati industriali, dalle pompe ai chiller alle torri di raffreddamento. Ma questi apparati sono inseriti in un ambiente dinamico e spesso le interazioni tra i diversi apparati non avvengono in modo lineare. Spesso il sistema non è in grado di adattarsi velocemente ai cambiamenti esterni o interni, dal momento che non ci sono regole o sapprocci euristici in grado di indirizzare qualunque tipologia di scenario.
Non solo.
Ogni data center a una propria architettura, dunque un modello che si applica a un sistema potrebbe non applicarsi a un altro.
Ecco perché Google ha deciso ormai due anni fa, vale a dire non appena acquisita DeepMind, di utilizzare il machine learning per rendere più efficiente l’operatività dei suoi datacenter.
Usando un sistema di reti neurali applicato ai diversi scenari e ai diversi parametri operativi, è stato creato un framework adattivo, in grado di comprendere le dinamiche del datacenter e ottimizzare l’efficienza.
Tutto questo è avvenuto raccogliendo i dati storici dalle migliaia di sensori prendeti nei datacenter e utilizzandoli per “istruire” le reti neurali, con un focus particolare sul PUE (Power Usage Effectiveness), ovvero il rapporto tra l’energia utilizzata complessivamente nella struttura e quella dedicata alla sola IT.
Stabilito il modello, è stato dapprima testato live su un datacenter e i risultati sono visibili.
Sul blog viene postato a titolo d’esempio un grafico, nel quale si misurano i livelli di efficienza con attivato il machine learning rispetto a quelli ottenuti con il sistema di machine learning disattivato.
Un recupero del 40 per cento sui sistemi di raffreddamento, significa, secondo quanto riportano i due ricercatori, un risparmio complessivo del 15 per cento in termini di consumo energetico.
E se si calcola che nel 2014 la società aveva dichiarato un consumo di 4.402.836 MWh (megawatt-ora), cifra che corrisponde secondo gli osservatori al consumo annuo di 367.000 case americane, l’entità del risparmio è tutt’altro che trascurabile.
[…] per aiutare a risolvere questo problema. A svilupparla è stata DeepMind, azienda britannica specializzata in intelligenza artificiale, acquisita da Google nel […]
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[…] team di esperti ha sviluppato negli ultimi anni progetti in vari campi, tra cui il consumo energetico e l’assistenza sanitaria, e ha concentrato su di sé l’attenzione dei media […]
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