Nel retail alimentare la componente del fresco ha una notevole importanza: è una parte cospicua del giro d’affari (mediamente il 40 percento circa) e ha un forte potere attrattivo sulla clientela, tanto che anche attori online come Amazon hanno investito per avere la possibilità di proporre prodotti freschi.
Sono però prodotti che presentano diverse difficoltà di gestione: l’approvvigionamento del fresco è variabile, la domanda incostante e c’è sempre in agguato il rischio di vendere meno del previsto e così dover scartare prodotti.
Molti sistemi di demand planning adottano un approccio a regole fisse anche quando si tratta di prodotti freschi, ma per le caratteristiche che abbiamo descritto l’approccio non è ottimale e costringe spesso ad apportare correzioni manuali per tenere conto delle fluttuazioni della domanda o della necessità di lanciare promozioni. Per questo si è pensato di applicare algoritmi di machine learning che “imparino” esaminando varie sorgenti di informazioni e definiscano piani di approvvigionamento più corretti. Le prime applicazioni indicano, secondo McKinsey, vari vantaggi tra cui un incremento del 9 percento nel margine lordo e l’eliminazione quasi totale delle rotture di stock.
Il primo vantaggio dei sistemi di machine learning applicato al food e quindi al fresco, è che possono trarre dati da sorgenti molto diverse fra loro ma che sono comunque collegate alle previsioni di vendita: storico delle vendite, campagne promozionali, orari di apertura dei punti vendita, previsioni meteo, periodo dell’anno, tempi di consegna, lotti minimi… una raccolta di informazioni che un operatore umano non potrebbe certo fare.
I sistemi di machine learning in uso presso i retailer oggi valutano una cinquantina di parametri con grande precisione, stimandone l’effetto sul particolare prodotto nello specifico punto vendita su base giornaliera. In base a queste valutazioni generano tutte le proposte d’ordine cercando di massimizzare le opportunità di vendita e ridurre al minimo quelle di dover scartare prodotti invenduti. Le proposte possono essere controllate dai responsabili umani, ma di solito non necessitano di correzioni.
Fresco: una visione più ampia
Un altro punto di forza del machine learning nel food, per i prodotti freschi, è che supera il limite principale delle previsioni di vendita basate sullo storico, ossia non poter misurare la domanda di prodotti che non è stata soddisfatta. Sapere che in un determinato punto vendita in un certo periodo dell’anno si vendono in media 30 chili di ortaggi ci spingerà a mantenerne sempre una trentina a disposizione. Ma magari ne potremmo vendere 35 o anche 40, solo che non lo sappiamo e questa domanda “latente” non sarà soddisfatta.
Gli algoritmi di machine learning calcolano le curve di probabilità della domanda dei prodotti e quelle che delineano il costo associato a ogni determinato livello di stock (compresi i costi legati alla probabilità di out of stock e scarti). Da queste due curve è possibile trovare il punto di equilibrio ideale, quindi la quantità di stock che massimizza le vendite con il minimo di rischio economico.
Il machine learning può andare oltre, considerando nelle sue valutazioni anche gli obiettivi strategici del retailer e la volontà di massimizzare determinati KPI. Ad esempio, le decisioni di approvvigionamento sono diverse se si punta a massimizzare i margini operativi invece del semplice fatturato.
Allo stesso modo gli algoritmi possono ottimizzare l’approvvigionamento legandolo ai prezzi. Simulando come le variazioni dei prezzi influenzano la domanda, il machine learning può indicare se sia meglio diminuire i prezzi e acquistare più prodotti oppure mantenere basso l’approvvigionamento degli articoli il cui acquisto non sembra influenzato dal prezzo finale.