Marketplace: utenti piccoli ma tanti servizi

La maggioranza degli utenti dei “mercati” digitali sono piccole e medie aziende, per lo più italiane. I loro clienti sono abbastanza fedeli ma le transazioni si concludono spesso off line

Sono 47 i marketplace italiani digitali censiti da una ricerca sul campo
realizzata dall’ I-Lab dell’Università Bocconi. Di questi 33 sono quelli che
hanno effettivamente collaborato all’inchiesta, un numero che garantisce
l’attendibilità statistica della rilevazione. Dai dati emerge che l’80% delle
imprese che li utilizzano conta meno di 100 dipendenti (il 41% ha meno di 20
addetti, il 39% ne ha 20-100). Secondo l’opinione di Enrico Valdani (direttore
di I-Lab) e di Andrea Ordanini, che ha diretto la ricerca, per tale
caratteristica i marketplace potrebbero essere centri propulsori della
virtualizzazione dei distretti industriali. Un aspetto negativo è invece la
scarsa componente non italiana nella clientela che limita le loro possibilità di
crescita.




La quota di clienti che, oltre a essere iscritti, utilizzano
effettivamente i marketplace è del 44%. Se però si considera che il 41% li usa
più di una volta, è evidente un forte effetto di fidelizzazione, maggiore per i
marketplace verticali (52%) che per gli orizzontali (26%). Il rovescio della
medaglia è la scarsa conclusione on-line delle transazioni, il 26% contro il 74%
off-line. La limitazione dei marketplace nel “marriage broker” (la vera funzione
di intermediazione) riduce il margine di entrata e li obbliga a cercare altre
fonti di reddito, incrementando i servizi. Gli scambi rappresentano comunque la
quota maggiore di revenue (42,5%), ma dipendono dalla quantità di servizi
offerti.
La ricerca condotta ha estrapolato quattro modelli fondamentali di
business:
1) Nicchia: marketplace verticali molto specializzati che coprono
una singola filiera o alcune sue fasi. Il loro punto di forza è il know-how di
settore.
2) Network based: dotati di un’offerta più ampia, soprattutto per la
collaborazione con fornitori di servizi (logistica, leasing), basano la
competitività sul rapporto prezzo/qualità.
3) Grandi generalisti:
intermediari per transazioni che interessano tutti i settori, offrono un’alta
qualità di piattaforma digitale.
4) Tentative: sono i
marketplace che non sembrano aver ancora individuato una vocazione prevalente.



Stefano Miceli (università di Padova), intervenendo al seminario sul tema, ha
delineato l’evoluzione dei marketplace che rispecchia a suo modo la vicenda
della new economy negli ultimi tre anni, dall’euforia iniziale a una più
realistica adesione alla realtà del mercato. Prima luoghi di intermediazione che
ambivano a spostare sul digitale l’insieme delle transazioni tra aziende
lucrando sulle commissioni (un esempio noto era Chemdex, primo hub verticale di
settore naufragato nel 2001), sono diventati poi aggregazione di imprese per
spuntare prezzi convenienti ai fornitori, ma anche qui con vantaggi iniziali poi
stabilizzati. Infine, la direzione che oggi sembra prevalente, è quella di
imprese private che offrono agli operatori di un settore strumenti per
razionalizzare e ottimizzare le relazioni esistenti e servizi a valore aggiunto
a pagamento.




Le dimensioni che sembrano aderire di più alle esigenze del
mercato italiano sono due. Una, verticale, offre un catalogo di soluzioni
applicative su specifici problemi e il supporto tecnologico a processi aziendali
complessi, da adattare alle varie tipologie di impresa. Il che si dimostra
efficace soprattutto per le Pmi. Un esempio: il portale del settore delle
industrie della ceramica che visualizza e contestualizza l’esposizione delle
piastrelle, dove lo spostamento sul digitale rappresenta un notevole risparmio
per gli operatori. L’altra dimensione è quella orizzontale-generalista in cui si
presenta una piattaforma editoriale per accesso a contenuti, cataloghi e servizi
a valore aggiunto (bancari, logistici e altri).


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