Realizzare con tecnologie di manufacturing additivo un habitat per l’esplorazione spaziale è possibile: lo ha dimostrato la statunitense Branch Technology vincendo con la stampa 3D un apposito concorso organizzato dalla Nasa.
Il contest fa parte di un progetto più ad ampio respiro – il 3-D Printed Habitat Challenge – con cui la Nasa vuole esplorare la possibilità di sviluppare nuove tecniche di costruzione “esportabili” sulla Luna e su altri pianeti.
Lo scopo della ricerca è ovviamente sviluppare tecnologie che permettano di realizzare strutture trasportando con sé pochi strumenti e pochissime materie prime.
La parte del contest vinta da Branch Technology prevedeva appunto di realizzare in stampa 3D, nel tempo massimo di 22 ore, alcuni elementi costruttivi (tre travi, tre piloni e una cupola) usando plastica riciclata e regolite, ossia il misto di polvere e residui pietrosi che copre le rocce di qualsiasi pianeta.
Partendo da questi componenti Branch Technology è riuscita a realizzare con la stampa 3D i componenti richiesti.
Il vincitore del contest sarebbe stata l’azienda che avrebbe realizzato le strutture più resistenti, e la cupola di Branch ha sostenuto un carico massimo di 1.694 chilogrammi.
Il risultato è stato possibile anche grazie alla collaborazione con altre aziende che hanno portato le loro competenze architetturali e nello studio dei materiali.
In particolare, Techmer PM ha sviluppato appositamente una nuova resina che è stata usata per realizzare la struttura portante dei piloni, resi più solidi riempiendoli di regolite.
La struttura a cupola è stata invece realizzata completamente in stampa 3D secondo l’approccio di Branch Technology, che prevede l’uso di una “testina” di stampa posta su un braccio robotico snodato, il quale in prospettiva Nasa potrebbe essere un robot completamente autonomo.