Il Rapporto (redatto da Assinform, Anasin e Federcomin) sull’andamento del lavoro e della formazione evidenzia una situazione che in parte riflette la fase di stallo del settore.
12 dicembre 2002 Un corposo volume di oltre 170 pagine raccoglie i dati del Rapporto 2002 sull’Occupazione e formazione nell’Ict, quest’anno realizzato da Assinform assieme ad An@sin e Federcomin, con la partecipazione anche di altre realtà associative e la collaborazione scientifica dell’Università Milano Bicocca, Unioncamere e NetConsulting.
Nella nota introduttiva ai risultati, Giulio Koch, presidente di Assinform, ha subito voluto dare un dato di ottimismo, sottolineando che le imprese del settore Ict nel 2002 sono cresciute del 2,9%, arrivando a 79mila unità. I valori percentuali più elevati arrivano dalle Tlc, (+6,8%) grazie alla nascita di nuovi operatori, ma una spinta propulsiva viene anche dal software e servizi, che in pratica è l’area che ha consentito all’It di rimanere a galla nel 2002, mentre a livello territoriale, il Mezzogiorno si è dimostrato particolarmente dinamico. Quest’anno il Rapporto, nell’analizzare il numero degli addetti, ha allargato il perimetro di osservazione e stimato sia quelli che lavorano presso le aziende dell’Ict, che rappresentano in totale 598mila unità (+2,7% sul 2001), sia quelli con competenze specifiche Ict presso le aziende utenti, pari a 399mila (erano 389mila un anno fa). Se a questi aggiungiamo anche quelli che presso le aziende utenti hanno funzioni non strettamente Ict ma con competenze Ict, stimati in 1,689 milioni di unità, si arriva a un totale di 2,686 milioni di professionisti. Allargando ancor di più l’orizzonte a tutti i lavoratori nazionali, oggi 14,6 milioni, emerge che le persone con alto profilo professionale che usano in autonomia l’It sono 3,9 milioni, mentre circa 6,7 milioni usano l’It per svolgere la propria professione. Solo 4 milioni svolgono attività che non coinvolgono l’It.
Anche nell’Ict, tuttavia, che vanta un elevato livello di scolarizzazione rispetto agli altri settori di mercato, ci sono fenomeni di esubero, soprattutto di figure generaliste, mentre mancano quelle strategiche, per cui secondo Giancarlo Capitani, responsabile di NetConsulting, permane in Italia il problema dello skill gap, cioè la carenza di figure con competenze specifiche. Questa situazione spinge le aziende utenti più arretrate a riqualificare il personale interno (come sta avvenendo nella Pa con corsi soprattutto di alfabetizzazione), e le aziende più evolute, come i grandi gruppi bancari e assicurativi, a cercare sul mercato figure già formate o a far seguire ai propri dipendenti corsi tecnici evoluti.
In estrema sintesi, l’indagine ha evidenziato un forte dinamismo sul lato occupazionale e anche una pervasività crescente dell’It nelle aziende accompagnata da un livello crescente di adeguatezza alle nuove tecnologie. In un contesto in cui il ciclo di vita delle competenze è più breve di quello delle tecnologie, la formazione diventa una risorsa strategica da utilizzare non in modo sporadico, ma continuato e programmato. Però in Italia c’è ancora un discrasia tra percezione delle risorse umane e investimenti da fare per valorizzarle. Oggi, invita Capitani ”bisogna che le aziende pensino non quanto costa investire in formazione, ma piuttosto quanto costa non investire”.
E, in effetti, i dati degli investimenti in formazione nel 2002 sono all’insegna del contenimento, in quanto la cifra di 710 milioni di euro stimati, rappresenta una crescita del 4,9%, decisamente inferiore alle attese e rispetto al valore del 2001 (+9,8%). Di strada ne ha ancora molta da fare l’Italia per recuperare competitività in Europa, se sono veri i dati che attribuiscono al nostro Paese il 13° posto per uso di Internet, l’11° per l’uso delle famiglie del Web, ancora il 13° per numero di pc collegati alla Rete e il 9° per alfabetizzazione.