Nel finance l’It non deve più sentirsi solo in banca

Governance, demand management, sviluppo applicativo: anche il mondo finanziario post-crisi deve fare i conti con l’esterno. Ugis: allinearsi al business vuol dire fare proposte.

Anche in questi due anni di crisi profonda per il mondo della finanza, l’It delle banche ha raggiunto l’obiettivo di diventare partner del business?”

A porre questa domanda alla recente giornata di studio dedicata alle strategie It, all’innovazione e alla governance nei servizi finanziari organizzata dal Cetif è stato Federico Rajola, (nella foto) direttore del centro di ricerca e professore di organizzazione aziendale dell’Università Cattolica di Milano.

Una domanda che però non parla solo al mondo finanziario, poiché i sistemi informativi di qualsiasi azienda in questi anni hanno dovuto affrontare e gestire, anche in emergenza, dei cambienti strutturali delle loro organizzazioni indotti dal cambiamento di scenario più generale.

Un conto infatti è parlare di It allineata al business quando, pur nella consapevolezza di dover operare in un mercato sempre più competitivo, la situazione generale non incide in modo determinante sugli investimenti, un altro è invece mantenere lo stesso obiettivo quando la crisi economica impone tagli ai budget It poderosi e consistenti, come quelli vissuti dai Cio in questi anni.

Quindi la crisi ha riscritto l’agenda di molti responsabili It, imponendo un ripensamento delle strutture fondamentali delle loro organizzazioni interne come il demand management, le software factory, allargando al contempo il perimetro della definizione di cliente.

«Se prima della crisi, la struttura dei servizi It ragionava principalmente relazionandosi solo con i clienti interni, oggi, complice naturalmente il successo dell’internet banking, i Cio devono sempre più fare i conti parallelamente anche con i clienti esterni» spiega Rajola.

«Le strutture di demand management devono essere più propositive e svolgere anche un lavoro di scouting: l’innovazione deve essere guidata dal business come prospettiva, ma deve essere guidata dall’It in termini di proposta», spiega Diego Donisi, deputy chairman di Ugis, la struttura It di Unicredit Group.

Con l’avvio nell’estate del 2010 del processo di migrazione del sistema informativo della banca tedesca nella piattaforma unica EuroSig, si è aperta l’ultima fase della lunga stagione di integrazioni vissute nello scorso decennio dalla banca italiana dopo la sua sfolgorante campagna di espansione internazionale portata avanti con ripetute acquisizioni.

«L’internazionalizzazione è stata una esperienza di notevole valore su cui fare leva per gestire il cambiamento – racconta Donisi – una visione internazionale consente un approccio più strutturato alla gestione della complessità che può, e deve, mantenere anche quella creatività che in questi anni ci ha permesso di risolvere quei problemi che ci apparivano quasi impossibili».

Nella pratica i rapporti tra business e It, in UniCredit, sono stati meglio regolati cercando di implementare con precisione rigore e flessibilità, due concetti agli antipodi, tenendo ben presente le caratteristiche specifiche di ogni attività.

Ecco allora che, per esempio, nella gestione del portafoglio delle applicazioni «il business è oggi più attento nel chiedere lo sviluppo di nuove applicazioni, ogni richiesta oggi deve essere formalizzata su moduli e controfirmata dai responsabili: si evita così il rischio del non utilizzo quando queste arrivano in produzione – afferma Donisi -. Questo però non significa rinunciare a usare modelli di collaborazione più agili, quando invece per esempio formiamo dei gruppi di lavoro per affrontare determinati temi, oppure nella fase di prototipazione delle applicazioni».

Fare più innovazione significa poi separare rigidamente le strutture interne alle software factory tra funzioni run e change, il che significa si traduce nel proporre alle persone It un percorso di crescita non facile da affrontare: «Abbiamo identificato dei veri e propri revolution partner, ovvero risorse con spiccate attitudini all’innovazione che vengono tolte da strutture dedicate alla gestione ordinaria e messe in aree dedicate alle cose nuove. Il 52% delle persone di Ugis che ho spostato in queste strutture oggi hanno cambiato mestiere, ma attenzione non tutti riescono a compiere questo percorso», conclude Donisi.

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