Alberto Rossini, Tv Director di Rcs Media Group, parla delle strategie del gruppo per il piccolo schermo. Per emergere nel mare magnum, spiega, serve un posizionamento distintivo, dando ai canali il tempo di crescere
«Nell’universo Rcs Media Group, Digicast è la società che realizza i canali televisivi del Gruppo in onda sulla piattaforma Sky» dice Alberto Rossini, che nel più grande gruppo editoriale italiano ricopre la carica di Tv Director. Digicast non è che un tassello di Rcs, ma fa capire bene cosa sta accadendo in un settore, quello televisivo, che sta attraversando mutamenti profondi legati alla proliferazione di piattaforme e offerta: il digitale terrestre, con la sua esplosione di canali gratuiti (e non solo), si sovrappone a un mondo “satellitare” già in costante evoluzione. Senza contare il mobile e la famosa convergenza – per alcuni cosa fatta, per altri pura chimera – con il mondo del Web. In questo marasma solo chi riesce a “distinguersi”, dice Rossini, sopravvive. Ecco cosa ci ha raccontato il manager di questo mondo e delle professionalità che lo plasmano, a partire dal suo ruolo.
Facciamo un po’ di chiarezza sugli aspetti societari, cosa non semplice in un universo così variegato come quello di Rcs Media Group: quali sono i canali televisivi Digicast sotto la sua competenza e che genesi hanno?
Digicast è stata acquisita da Rcs negli anni scorsi (al 100% nel 2008, ma era già partecipata al 51% dal 2006, ndr). Attualmente abbiamo un’esclusiva con Sky per cinque canali di cui due nell’area intrattenimento (“Lei” e “Gimmy”), due nell’area che viene definita “mondi e culture” (“Dove” e “Yacht&Sail”) e “Caccia e Pesca”, il canale opzionale in abbonamento. Si tratta dunque di canali molto eterogenei. “Lei” e “Dove”, in particolare, sono nati in un secondo momento, quando Digicast era già all’interno di Rcs.
Con quale struttura organizzativa presidia le attività di Digicast?
Io riporto direttamente al direttore generale di Digicast, Francesco Carione, e sotto di me ci sono i Channel manager, uno per ciascun canale. Al di sotto di queste persone esiste un piccolo team che si occupa di gestione del palinsesto, delle acquisizioni e del commissioning, che consiste nel commissionare esternamente o internamente delle produzioni. Esiste anche un piccolo team di produzione, messo i piedi molto recentemente, che lavora per “Lei” ma che in prospettiva potrà lavorare trasversalmente su tutti i canali. Anche questo team riporta a me.
Che peso ha il business della Tv sul fatturato di Rcs Media Group, è possibile quantificarlo? E in termini di audience?
L’ultimo dato economico che posso citare è quello dato dalla capogruppo relativo ai primi nome mesi del 2010, dove i ricavi di Digicast ammontano a circa 20 milioni. Siamo legati a Sky, questo significa che siamo pagati da Sky per fornire contenuti, e oltre a questo c’è la raccolta pubblicitaria aggiuntiva. Quanto all’audience, il canale principale “Lei” viaggia attorno ai quattro milioni di contatti mensili, che consideriamo un buon risultato. Per “Dove” è presto per fare bilanci perché è stato lanciato da pochi mesi, mentre “Yacht&Sail” sta crescendo molto rispetto allo scorso anno, dopo che è stato riposizionato diventando un canale più rotondo, dedicato al mare in generale e non più solo alla nautica. “Caccia e pesca”, invece, essendo in abbonamento è un mondo a se stante che esula dalla logica dell’audience.
Quali sono oggi gli obiettivi di Digicast?
Stiamo lavorando per consolidare i canali, soprattutto “Lei” e “Dove” che sono molto giovani. Si deve tener presente che i tempi per far crescere i canali televisivi sono più lunghi di quanto si possa pensare. Quest’anno abbiamo lanciato sia su “Dove” che su “Lei” molte nuove produzioni, che quindi sono tutte alla prima o alla seconda serie e hanno bisogno di tempo. Però le cose stanno funzionando.
Data la vastità dell’ambito in cui opera Rcs come editore, è ipotizzabile anche uno sbocco in Tv di altri canali?
Certo il digitale terrestre ha aperto opportunità interessanti. Stiamo monitorando il mercato cercando di capire cosa sta succedendo in un mondo dove l’evoluzione è praticamente quotidiana: vengono lanciati nuovi canali in continuazione e non credo che tutti sopravviveranno. Noi siamo partner di Sky e lì rimaniamo, anche se ovviamente tutti stanno guardando a tutte le piattaforme..
A proposito di piattaforme: satellite, Dtt , IpTv, mobile. Tanta concorrenza. Cosa ne pensa della convergenza o piuttosto convivenza di tutte queste tecnologie?
La proliferazione delle piattaforme e dei canali è un dato di fatto ed è fondamentale avere un posizionamento distintivo, prodotti distintivi, facce distintive. Altrimenti si muore perché l’anonimato non è permesso. Per questo motivo, soprattutto per l’ambito pseudo-generalista di “Lei”e “Dove”, stiamo puntando prima di tutto al posizionamento, poi a produzioni in esclusiva e infine su volti che ci permettano di emergere. I canali di nicchia hanno un posizionamento distintivo in sé e per questi paradossalmente la vita è più facile.
Quanto alle piattaforme, credo che il satellite e il digitale terrestre stiano saturando il mercato. Ho l’impressione che la mobile Tv sia un esperimento sostanzialmente fallito e anche l’IpTv in Italia sta facendo molta fatica.
Qual è l’aspetto più complesso, tra i tanti sotto la sua responsabilità: palinsesto, produzioni, acquisizioni, promozione?
Il compito non tanto più difficile ma sicuramente il più delicato è gestire le persone. Ho gestito in passato gruppi di lavoro molto ampli, qui siamo meno ma comunque vi sono persone che lavorano in produzione, nel palinsesto, nell’acquisizione, nella promozione, tematiche insomma molto diverse. È fondamentale che in azienda ci sia un buon clima e un ambiente armonico. Quanto all’aspetto più complicato, probabilmente si tratta delle produzioni, interne ma anche esterne. Perché il punto nodale è individuare un format, un’idea che funzioni in termini di ascolti, che consenta di essere distintivi, che rispetti i budget e sia idonea in termini di posizionamento editoriale. Mettere insieme tutte queste cose non è facile.
Se non si raggiungono gli obiettivi di ascolto bisogna “solo” cambiare il palinsesto?
Vi sono interventi più “immediati”: si cerca, attraverso spostamenti di palinsesto, di massimizzare la resa dei programmi esistenti. È una cosa che si può fare anche da un giorno all’altro. Se il problema persiste la questione non è evidentemente in come ho organizzato i contenuti ma nei contenuti stessi. E dunque bisogna analizzarli attentamente, anche mediante focus group e a volte bisogna essere “crudeli”. Però – lo ribadisco – serve molta pazienza, le produzioni possono iniziare a funzionare anche alla diciottesima replica..
Meglio concedere ampia delega ai propri collaboratori o centralizzare e controllare severamente tutte le attività?
La situazione varia da caso a caso. Una volta stabiliti i parametri di lavoro, io tendo a delegare. Però lascio, anche fisicamente, la porta sempre aperta e sono molto sistematico: tutte le settimane e alla stessa ora vedo tutti i channel manager, in contesti di riunione allargata, creando momenti settimanali di resoconto, analisi, visionamento di prodotti nuovi. Credo sia mio dovere fare in modo che tutti si sentano responsabilizzati e credo molto nel lavoro in team. Anche perché qui non si tratta di scienze esatte ma spesso di sensazioni. Si pensi al canale femminile Lei: come potrei non fare affidamento sulle donne che vi lavorano?
Il suo è un ruolo che associa competenze molto diverse. Quale percorso formativo consiglia a chi volesse intraprendere una carriera nel mondo televisivo?
Io avevo idee ben precise sul mio futuro professionale e ho fatto un percorso estremamente lineare: liceo scientifico e filosofia all’università (perché allora solo lì esisteva una specializzazione in comunicazione). Ma ciò che ha fatto per me la differenza è stato il master post laurea, seguito da uno stage. Il percorso migliore mi sembra che possa essere ancora questo: università – oggi ci sono corsi di laurea molto più vicini al mondo della televisione – e a chiudere un corso post laurea specifico. Solo questo riesce a far entrare nella testa dei ragazzi cosa è davvero il mondo del lavoro. La televisione non è lustrini, è fatta di uffici, di impiegati “qualunque” anche se si lavora su un prodotto affascinante. E poi se si vuole lavorare in questo mondo bisogna conoscerlo: bisogna guardare la televisione.
Questa intervista fa parte della Rubrica “Identikit delle professioni”, realizzata in collaborazione con Cornerstone International Group