Office 365 un anno dopo: la voce dei Cio

A un anno dal lancio di Office 365 è tempo di bilanci. L’adozione in Italia, le resistenze, l’esperienza di Barilla e Leroy Merlin.

A un anno esatto di distanza dal lancio di Office 365 anche in Italia, per Microsoft è il momento dei primi bilanci.
La soddisfazione è palpabile, e lo si è visto nei giorni scorsi a Toronto, in occasione dell’edizione 2012 della Worldwide Partner Conference, e viene confermata anche per il nostro mercato.
«Oggi più di un quarto delle Fortune 500 ha già scelto Office 365 – spiega Fabrio Fregi, Enterprise and Partner Group Director -. Certo, il mercato americano ha un tasso e un ritmo di adozione più veloce rispetto all’Europa. Tuttavia un dato vale per tutti: oggi i servizi cloud di messaggistica contano 22 milioni di utenti nominali fra aziende e mondo accademico».

Office 365, sottolinea Fregi, non solo rappresenta per le imprese una scelta economicamente sensata, con un Roi valutato da Forrester in 4 mesi, ma, soprattutto, ne si inserisce nei nuovi cicli delle orhanizazioni, nei quali la dismissione di hardware e software si accompagna a nuovi modelli di provisioning e deprovisioning, e di concentrazione delle competenze.

«Va detto – prosegue Vieri Chiti direttore divisione Office di Microsoft Italia (nella foto) – che su Office 365 le aspettative sono molto alte. È come per la luce: quando schiaccio l’interruttore deve accendersi».
Chiti parla di 150.000 attivazioni di Office 365 nelle aziende italiane, cui si accompagna anche un’ottima accoglienza nel mondo education.
E aggiunge: «Si comincia però a capire che quando si parla di cloud non si parla di tecnologie nuove, ma di servizi nuovi, in termini di erogazione e fruizione. Si parla di servizi espandibili, di possibilità di adozione di un singolo servizio, per gradualmente abbracciare tutti gli altri».

Che i tempi siano maturi per una adozione più pervasiva del cloud è cosa di cui è convinto anche Giancarlo Capitani, presidente di Netconsulting: «È un dato di fatto che il cloud computing sia una priorità nelle aziende italiane: nell’agenda dei Cio gli obiettivi sono i recuperi di efficienza, il risparmio dei costi, la possibilità di liberare risorse economiche per innovare applicazioni e infrastrutture nel breve periodo».
Tuttavia, e qui Capitani pone subito l’accento sul punto dolente, a questa manifestazione di interesse non fanno riscontro risultati di mercato altrettanto importanti.
E se le grandi imprese si indirizzano al cloud nelle forme dell’ibrido e del privato, scarsa è la propensione ad affidarsi al nuovo modello da parte delle piccole e medie imprese.
«Se andiamo ad analizzare i fattori di spinta e i fattori di freno dell’adozione di un modello cloud – prosegue Capitani – siamo di fronte ad esempi da letteratura: scalabilità, riduzione dei costi, continuità di business sono le motivazioni a favore, così come sicurezza, privacy, disponibilità del servizio rappresentano i freni».
La questione è sostanzialmente culturale, sottolinea Capitani e non si riferisce solo agli aspetti contrattualistici o all’assenza di standard di riferimento.
«In palio c’è il timore di perdere potere, delegando compiti e conoscenze a una entità esterna: è questo il vero ostacolo da rimuovere».
In realtà per il Cio si profila un nuovo ruolo, del quale comincia a esserci percezione: un ruolo che prevede un maggiore dialogo con il top management che volentieri assegna loro la delega per introdurre l’innovazione tecnologica in azienda.
«Quel che davvero manca è la capacità di diventare advisor per i processi di business, pur avendo visione di tutti i processi aziendali».

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