Electrolux ha al proprio interno una persona che si occupa di ricercare e selezionare idee per il Gruppo, creando un network di talenti, giovani startup e spin-off universitari. Bayer, la multinazionale chimica e farmaceutica ha creato un incubatore per startup, Xcell Biosciences, e Digital Magics, l’incubatore di startup digitali, ha chiamato nel proprio team Marco Gay, presidente di Confindustria Giovani, per occuparsi del rapporto con le aziende e sviluppare progetti di innovazione aperta che hanno portato alla collaborazione con Poste e Fastweb.
Sono questi esempi di Open innovation con le aziende che cercano sul mercato idee per nuovi modelli di business. Un universo che sta crescendo anche in Italia che è stato indagato dal primo osservatorio di Open innovation e di corporate venture capital, promosso da Assolombarda, Italia Startup e Smau, in partnership con Ambrosetti e Cerved.
I numeri della Open Innovation
Grazie all’analisi dei dati Cerved sono stati individuati oltre 40 mila soci delle 6,5 mila startup innovative iscritte al registro delle imprese. Si tratta di 34.963 persone fisiche che hanno quote di partecipazione in almeno una delle startup. Gli investitori corporate sono invece 5.149. Gli investitori in Corporate venture capital concentrano le loro quote in 1.901 startup. Nelle restanti 4.565 startup la compagine dei soci è rappresentata esclusivamente da persone fisiche. I dati di bilancio delle società nel capitale delle startup innovative indicano che oltre il 60% di questi investitori sono large corporate, con un giro d’affari di oltre 50 milioni di euro. Le corporate che hanno investito in startup innovative operano nel campo dei servizi non finanziari (48,2%); oltre un terzo nei servizi finanziari e assicurativi (34,1%), il 5,2% nell’industria tradizionale, il 2,9% nella meccanica e il 2,1% nella produzione di apparati hi tech. La maggior parte (69%) dei soci corporate ha sede nel Nord così come il 55% delle nuove aziende. Questo signiifica che un flusso importante di investimenti vanno dal Nord a startup del Centro Sud. La ricerca evidenzia, infine, che le imprese corporate che hanno investito in startup innovative hanno prevalentemente optato su imprese che fanno R&D o producono software e servizi informatici. L’industria tradizionale nel 77% dei casi ha investito in startup che fanno R&D, mentre le imprese che operano nella meccanica scelgono nel 61% dei casi startup che operano nel campo in software e informatica, così come le aziende che si occupano di produzioni Hi-tech (76% dei casi).
C’è metodo nella Open Innovation
La parte qualitativa dell’indagine è stata affidata a The European House Ambrosetti che acercato di individuare modelli concreti e replicabili di Open Innovation attraverso una serie di matrici come quella relativa al posizionamento dove in base a conoscenza del mercato di riferimento, competenze e strumenti tecnologici a disposizione dell’azienda viene misurato il grado di rischio dell’attività di Open innovation. In questo caso il rischio massimo, ma con il maggior potenziale d’innovazione, si ha quando l’azienda ha poca conoscenza del mercato di riferimento e pochi mezzi a disposizione. La situazione più confortevole è invece quella in cui si ha un’elevata conoscenza del mercato e abbondanti mezzi tecnologici a disposizione. Questa però è anche la situazione che genera minori margini di innovazione. Per quanto riguarda la strategia si passa dalla fase passiva di osservazione e raccolta di idee, al fare rete con la creazione di un network o piattaforme in cui vestire il ruolo di leader e guidare lo sviluppo di nuove idee. Il terzo caso è la situazione in cui l’azienda ha disponibilità di fondi, ma poca esperienza per condurre progetti di Open innovation e a cui viene proposto di trovare partner esterni, come venture capital a cui dare mandato per investire in startup innovative con grandi possibilità di ritorno. Infine la quarta strategia, denominata Corri! è suggerita alle aziende che hanno ampia disponibilità economica e conoscenza dei meccanismi di Open innovation.