A poco più di un anno dal suo ingresso nel mercato del Software-defined storage, per SUSE è tempo di presentare la versione 2.0 di SUSE Enterprise Storage, disponibile in combinazione con SUSE OpenStack Cloud o come soluzione di storage indipendente.
La soluzione basata sul progetto Ceph è al momento la sola sul mercato a supportare anche il protocollo iSCSI in configurazioni multipath.
Di ritorno dalla SUSECon 2015 svoltasi ad Amsterdam la scorsa settimana a dettagliarne i vantaggi ci pensa Gianni Sambiasi, Territory Manager Italy, SUSE, sottolineando, per prima cosa, il supporto dell’ultima nata a sistemi operativi diversi da Linux, «così da indirizzare storage a blocchi anche su ambienti Unix, piuttosto che Windows».
Il tema, ancora una volta, è quello della riduzione dei costi It, attraverso una soluzione di storage distribuito basata su software a gestione e riparazione automatica, la cui versione 2.0 è ora integrata con la cifratura dei dati statici «per offrire l’archiviazione a costi contenuti e di livello enterprise».
Oltre alla collaborazione con alcuni partner per portare SUSE Enterprise Storage su dispositivi a tecnologia ARM a 64-bit, per offrire ai clienti corporate e hyperscale la possibilità di scegliere la piattaforma hardware, tra gli annunci riportati da Sambiasi c’è anche il programma beta della versione 6 di SUSE Open Stack Cloud, infrastruttura software che consente di realizzare una cloud privata e, a tutti gli effetti, distribuzione commerciale del progetto Open Stack, cui SUSE ha applicato il medesimo modello di licensing già in uso per Linux.
«La principale novità introdotta – spiega Sambiasi – è rappresentata dal supporto al mainframe IBM System z, che consente di installare Open Stack anche su una partizione Linux IBM, mentre si è lavorato per rendere ancora più avanzata l’alta affidabilità già introdotta nella versione precedente».
I numeri del private cloud
E che il tema del privace cloud sia “caldo” e di interesse per SUSE lo dimostrano anche i risultati riportati da una ricerca commissionata a Dynamic Markets per indagare, a livello globale, l’uso nelle large company di sevizi cloud, in particolare di tipo privato, con una specifica attenzione sull’appetibilità di OpenStack.
Tra gli 813 senior It interpellati in sette country, pescando all’interno di realtà sopra i 250 dipendenti, anche un non meglio quantificato spaccato italiano dove le implementazioni private cloud, pari al 94%, superano quelle citate dai colleghi in Francia, Canada, Paesi Nordici, Inghilterra, Stati Uniti e Germania.
Tra i dati più salienti della ricerca, all’interno della quale il 90% degli intervistati afferma di aver implementato soluzioni di private cloud, la conferma di come, per il 54% dei rispondenti, la strada per workload business critical, specie da noi e in Germania, passi proprio da qui.
Convinti nel 93% dei casi che le infrastrutture as-a-Service rappresentino il futuro del datacenter, a spingere verso l’adozione di soluzioni cloud sono, nel 67% dei casi, ragioni di tipo economico, mentre un ancor più nutrita percentuale, pari al 77%, ripone in questa tipologia di servizi le proprie aspettative in termini di agilità e innovazione per la propria azienda.
Tra i potenziali benefici associati al private cloud, il loro impatto sulla sicurezza dei dati, con una semplificazione, in termini di data security, fortemente attesa nel settore dei servizi finanziari.
Infine, in un siffatto scenario, non può che piacere a SUSE la constatazione, dati alla mano, secondo cui ben il 96% del campione ascoltato si dice convinto dei vantaggi che sottendono all’implementazione di un cloud privato open source riportando, con una percentuale pari al 55%, motivazioni di rilievo, quali flessibilità e riduzione dei costi.
Non sorprende, allora, che accanto al 15% delle realtà del campione che ha già effettuato la migrazione verso il private cloud basato su tecnologia OpenStack, ben il 66% pensi di farlo entro ottobre 2016.
A dividere, semmai, è l’approccio con il quale arrivare all’implementazione dell’infrastruttura software in questione che, il 44% dei rispondenti, in primis provenienti da Italia e Nordics, intende scaricare e installare per contro proprio, mentre una percentuale di un solo punto più alta si dice, invece, intenzionata a passare da una distribuzione commerciale.
Se è la distribuzione a fare la differenza
Musica per le orecchie di SUSE che, come ricorda Sambiasi, «nell’agosto 2012, è stata la prima società a uscire sul mercato con la versione 1.0 di distribuzione commerciale di OpenStack accompagnata, nell’ultimo anno e mezzo, da un proliferare di attori che presentano sul mercato soluzioni basate su Open Stack».
Ma quello di cui stiamo parlando è un framework che risolve problematiche complesse «e ipotizzare di scaricarlo e implementarlo per gestire in ottica Infrastructure-as-a-Service il proprio datacenter – conclude Sambiasi – richiede competenze e un approccio specifico, che deve essere preceduto, a monte, da un’analisi puntuale degli specifici processi, diversi e peculiari per ogni singolo cliente».