La realtà del lavoro, fortemente condizionata da un anno dominato dalla pandemia, è profondamente mutata. Con il lento rientro della situazione emergenziale, sta emergendo uno scenario in cui il lavoro ibrido sarà probabilmente la soluzione d’elezione per molte organizzazioni. Ne parliamo con Luca Vellini, Cloud HCM Country Leader di Oracle Italia
«Da remoto o non da remoto,… questo è il problema. Chissà cosa penserebbe oggi Amleto, il celebre protagonista dell’omonima opera di Shakespeare per dirimere il dilemma che oggi stanno affrontando tantissimi direttori del personale e manager nelle Aziende di tutto il mondo.» afferma Vellini
Vedremo nei prossimi anni quale sarà la risposta, nel frattempo, però, sembra che la maggior parte delle organizzazioni stia prudentemente tracciando la rotta verso il cosiddetto modello ibrido, gestendo con orari e con percentuali diverse il rientro in ufficio e bilanciando la popolazione in presenza o da remoto della popolazione aziendale, con una certa autonomia organizzativa favorita, al momento, dall’assenza di una legislazione dettagliata al riguardo.
Distanziamento, mascherine, ecc, resteranno ancora obbligatori per un certo periodo di tempo, perciò anche il lavoro in presenza come lo ricordiamo oggi (con un pizzico di nostalgia) non sarà applicabile, se non con accorgimenti importanti.
Ecco allora che l’aspetto va analizzato sotto diversi punti di vista: abitudini, comportamenti, policy da un lato, spazi e strumenti a disposizione dall’altro.
Se è vero che il modello ibrido verrà largamente adottato, dovranno essere le policy aziendali a dare un quadro entro il quale poterlo applicare: a tutta la popolazione aziendale o soltanto una parte di essa? Secondo Oracle, ci sonodelle mansioni per le quali il lavoro da remoto semplicemente non si può attuare, quindi bisogna cercare di non discriminare, offrendo delle possibilità alternative.
Lavorare da remoto con successo è stato possibile in questi mesi perché chi lo ha fatto lo ha fatto responsabilmente, guadagnandosi la fiducia dei propri superiori e potendo contare su capacità di leadership buone da parte dei Manager. Sarà sempre così? Dovrà esserlo, altrimenti il modello non potrà funzionare a lungo. Questo vuol dire dover pensare a frequenti programmi di traning (reskilling come dicono oggi gli esperti in materia) e a renderli fruibili anche da remoto.
Un altro aspetto importante è quello del bilanciamento tra lavoro e vita privata: bisogna evitare che il lavoro da remoto si trasformi in disponibilità H24, ma anche individuare modi per fare sì che le esigenze individuali non incidano negativamente sulle necessità lavorative, con un approccio di reciprocità. Ad esempio, se sto prenotando un viaggio per le vacanze durante l’orario di lavoro, devo, di contro, accettare di poter ricevere chiamate o dover svolgere altre attività professionali in orario non lavorativo.
In questo contesto la domanda da porsi non sarà più “se si deve andare in ufficio” o meno, bensì “quale è lo scopo per andare in ufficio”: ovvero se è necessario andarci per svolgere al meglio un’attività, o se è possibile occuparsene da remoto.
Con quali soluzioni Oracle supporta le organizzazioni, alle prese con forze lavoro distribuite e orari di lavoro sempre più diversificati, fra presenze in sede e lavoro da remoto?
Secondo il manager di Oracle, in questo contesto chiunque lavori da remoto deve poterlo fare a condizioni paragonabili a quelle che avrebbe in ufficio: una postazione adatta, ergonomica, ecc, una connessione buona, o anche un accordo su come gestire aspetti quali i costi di connettività o i pasti nei giorni lavorativi.
E poi arriviamo all’importante tema degli strumenti di lavoro: oggi le business application più moderne, flessibili sono sviluppate in Cloud. Ma per lavorare bene da remoto, occorre che queste applicazioni siano disponibili da mobile, e da laptop, in modo da poter essere utilizzate bene in qualunque momento, rispettino i massimi standard di sicurezza dei dati e riservatezza a norma GDPR. Oggi sul mercato si trovano tante soluzioni in cloud, ma c’è cloud e cloud: non sono tutti uguali. Il cloud di seconda generazione – su cui Oracle ha sviluppato le sue applicazioni cloud-native – non solo rispetta tutti i requisiti descritti sopra, ma è ricco di ulteriori facilitatori, quali cruscotti per leggere ed interpretare l’andamento del business in tempo reale, e agire di conseguenza, algoritmi di intelligenza artificiale che suggeriscono possibili azioni correttive o addirittura che svolgono alcune operazioni (soprattutto quelle noiose e ripetitive) al posto nostro.
Un esempio di come tutto questo possa impattare sul tema delle risorse umane, molto semplice, è questo: pensiamo a quante persone saranno interessate a conoscere quali regole saranno in vigore al rientro in ufficio, e pensiamo a quante domande potrebbe ricevere la direzione HR su questi temi. Con un chatbot (algoritmo di intelligenza artificiale, per i non addetti ai lavori) è possibile delegare in toto questa attività di “helpdesk” alla macchina, eliminandola in toto dalla propria to-do-list.
Inoltre, gli uffici di domani andranno ripensati secondo tendenze architettoniche nuove: spazi diversi per entrata ed uscita (anche dai piani), ascensori che non fermano a un piano se in quel piano si è superato il numero massimo di persone consentite (che potrà cambiare in funzione del livello di rischio rilevato in quella località). E anche qui la tecnologia sarà di estremo aiuto. Pensiamo, ad esempio, all’adozione di sistemi di riconoscimento veloce per verificare se la postazione è utilizzata realmente da chi l’ha prenotata, e a e sistemi di prenotazione della postazione che serve realmente a seconda del tipo di attività una phone room, una sala riunioni per 3 persone, una scrivania.
Tutto ciò è già possibile oggi, con la tecnologia giusta, e Oracle Cloud è stata scelta da tantissime aziende nel mondo, anche in questi 20 mesi di pandemia, proprio per questo: per permettere alle aziende che ci scelgono di poter crescere, e prosperare anche in un mondo del lavoro totalmente nuovo.