La società ha ridefinito la struttura che abiliterà le business application. Vi sono middleware e database per ambienti a “griglia”.
Sembra che la moda attuale (e forse non solo attuale) sia quella di dare un nuovo nome alle cose, inquadrandole in un contesto che sia conforme ai “must” tecnologici del momento. Obiettivo, non rischiare di perdere terreno nella competizione diretta con i propri concorrenti.
Con questa premessa vanno inquadrate, per esempio, molte delle innovazioni d’offerta approntate dai produttori di software nei tempi recenti, quasi tutte riviste, a livello di definizione, inserendo qui o là la parola Soa (Service oriented architecture).
E da uno spirito simile sembra muovere anche l’annuncio di Oracle, che ha di fatto racchiuso sotto la nuova denominazione “Oracle Fusion Architecture” ampie porzioni del proprio esistente catalogo in tema di middleware esteso (quello, per intenderci, che ha dentro i componenti per le Soa ma anche la gestione dell’informazione) e di infrastruttura grid.
Il fine della casa di Larry Ellison è identificare con chiarezza qual è l’infrastruttura abilitante, orientata ai servizi e basata su standard aperti, per le proprie business application future, che nasceranno dal “project Fusion” tra le soluzioni Oracle, PeopleSoft, Jd Edwards e Siebel.
Dentro la Fusion Architecture, dunque, vi sono la Oracle Grid Infrastructure (il database 10g e il Fusion Middleware in configurazione abilitata per il grid, con Oracle Enterprise Manager e Grid Control come strumenti di gestione), Fusion Service Registry (derivazione del registro dei Web service di Oracle E-Business Suite) e BusinessProcess Orchestration (strumento per il disegno dei processi basato sullo standard Business process execution language). A ciò si aggiungono Business Intelligence e Business Activity Monitoring (un insieme delle tecnologie di Oracle in tema di Bi e Bam) e Unified Portal, che fa perno sugli asset della Collaboration Suite 10g e su Oracle Portal.