C’è un cloud provider europeo, l’unico, capace di avere una presenza mondiale e che ha inventato un modo tutto suo di fare data center.
Un provider che forse l’Europa, in senso economico, farebbe bene a tenersi stretta (le acquisizioni, si sa, fanno parte di questo mondo) e anche a mutuarne il modello di business.
Un modello che è una eccellente crasi dei concetti basilari dell’agire economico da sempre: efficienza, efficacia, programmazione, misurazione, crescita.
Si chiama Ovh, è nato a Roubaix, in una Francia così vicina al centro politico dell’Europa (il Belgio), ma anche alla Manica, al mare, e quindi per vocazione aperta allo scambio con il mondo.
E se una volta si trattava uno scambio di merci fisiche, come i tessuti o la birra, ora è uno scambio di dati.
Quello scambio che fa del cloud il paradigma economico del terzo millennio e che i fondatori della società, la famiglia Klaba, (Henryk, padre e Octave, figlio) ritiene fermamente che possa, anzi debba, essere appannaggio di realtà europee.
Stiamo andati a visitare la sede di Ovh, a Roubaix, e la nuova factory di Croix, abitato che sta fra la cittadina famosa per la classica di ciclismo di primavera e Lille, terminale europeo delle vie di collegamento con il Regno Unito. Sono i luoghi dove nascono e si compongono, continuamente, i prodotti cloud e datacenter.
François Sterin, Vp Chief Industrial officer di Ovh ci ha spiegato il modello integrato Ovh, cloud provider privato, pubblico e ibrido, capace di creare
28 datacenter nel mondo in sedici anni: oltre che in Francia, in Germania, Regno Unito, Polonia, Singapore, Stati Uniti.
Datacenter che fanno sì che Ovh competa con i tre grandi big del cloud planetario: AWS, Google Cloud. e Microsoft Azure. Oggi Ovh è a quota un milione e mezzo di clienti.
Sterin ha spiegato come Ovh è arrivata alla “sfida”: «siamo nati come web hosting company e abbiamo sviluppato una nostra piattaforma, che abbiamo alimentato nel corso degli anni. Ovviamente non da soli, ma con partnership. La più importante è forse quella con Vmware attiva dal 2011».
A Roubaux ora ci sono 7 datacenter e ne sta sorgendo un ottavo, in un’area ove c’era un supermercato. Conterrà 40mila server e da Ovh viene considerato medio. A Graveline, in una vecchia fabbrica di imbottigliamento ce ne sono 80mila in due data center.
Data center e server home made
Come nasce un data center di Ovh? «Prendiamo edifici esistenti, autonomi, indipendenti e li rimettiamo in forma. Velocemente. Dopo sei mesi di lavori il datacenter è attivo», pronto per contenere quei server che Ovh assembla direttamente e che hanno una vita, in tre fasi, di quattro anni. Teniamo presente che a fine 2018 Ovh aveva prodotto 1 milione di server.
Server che sono controllati con un sistema di raffreddamento ad acqua direttamente sulla piastra inventato da Ovh stessa e che beneficia di un sistema di pompaggio di propria concezione.
È stato infatti creato un sistema particolare che veicola l’aria nel sistema di condizionamento e scambia aria e raffredda con acqua.
Vengono usati condizionatori esterni per raffreddare l’aria internamente ai data center, nei quali la temperatura della sala viene post a a 25 gradi. «L’efficienza complessiva è migliore – ha detto Sterin -. Una volta si puntava ad avere 20 gradi, senza discussione, ma era uno spreco di energia e di risorse».
Un dato relativo, comunque, che dipende dalle zone climatiche: «per esempio in Virginia di estate c’è più umidità e quindi abbiamo bisogno di più capacità di raffreddamento».
Un sistema di sicurezza embedded
La rete globale di Ovh è in fibra ottica, per un backbone totale di 17 Tb/s, basato su 34 point of presence, che eroga al cliente una velocità di banda di 1 Gbit/s. Su questa rete la società lo scorso anni ha mitigato 2,8 milioni di attacchi DDos.
Tutti i rack delle server room sono a pavimento, una soluzione unica nel mondo.
«Registriamo e fermiamo migliaia di attacchi al giorno – spiega Sterin – Ma per noi la sicurezza ha anche un aspetto fortemente fisico. Dobbiamo difendere i dati sul cloud e le strutture che li erogano». Ossia, il tema dell’accesso al datacenter è un oggetto di sicurezza primario per Ovh.
Gli accessi ai datacenter sono ovviamente super controllati, ma Ovh sta sviluppando un sistema di riconoscimento dell’iride per la gestione ingressi da mettere in tutti i 28 datacenter.
Sicurezza di esercizio significa provvedere anche alla data continuity, ovvero al funzionamento fisico dei server.
Il server e il rack
Per questo ogni singolo server di un data center di Ovh è connesso almeno a due switch, spesso anche a quattro. Viene raffreddato ad acqua, direttamente su una piastra in rame posta sulla Cpu (un tubicino blu porta acqua fresca, un tubicino rosso toglie acqua calda), che funge da scambiatore di calore. (Attualmente è allo studio un nuovo sistema di raffreddamento, esterno ai server. Adottato da 4 mesi, a lungo andare dovrà sostituire tutte le produzioni nuove).
Per agire su un server in caso di necessità il tecnico interviene con pinze chirurgiche per bloccare acqua calda e fredda, lavora sul serveer, inserisce quello che deve e lo ricollega alla rete idrica e alla rete IT.
Ogni rack è di concezione Ovh, ca-va-sans-dire. Si chiama HORI rack, horizontal, rack, misura un metro per due, contiene 16 server e viene assemblato a costituire un modulo da tre rack, impilabili sul pavimento fino a costituire un modulo da nove in altezza, e vengono posizionati in un data center in quattro campate per stanza. La protezione incendio viene fatta con springer dal soffitto.
La stanza di monitoraggio di un tipico data center Ovh ha 28 display per i rack, di cui due s volgono funzioni di cruscotto, più uno generale che gestiace le immagini di sicurezza a circuito chiuso, per un controllo visuale di parametri come i server attivi, quelli down, e videocamere.
Dove nascono i server: la factory e la supply chain
La factory di Croix, cittadina fra Lille e Roubaix, è stata inaugurata a fine 2018
Sforna 7.500 server al mese, ma è in grado di arrivare a 20mila. Si punta infatti a realizzarne 200mila all’anno mettendo a pieno regime il plant, e ha obiettivo di produrne 400mila, per sostenere la crescita mondiale.
In sostanza cengono prodotti da 8 a 12 rack al giorno con un sistema di lead production, che riduce lo stock e gli scarti.
A Croix lavorano 150 persone fra produzione, assemblaggio, logistica e subcontractor.
Il supply chain manager, Guillame Hochart, ci ha descritto come funziona questo che si è rivelato ai nostri occhi un esempio perfetto di ottimizzazione produttiva.
L’ufficio supply chain programma la produzione dei server con una classica logica build to order, sulla base dell’ordinato dei singoli data center , ma anche per gestire le condizioni anomale e le produzioni di picco. Ovviamente il team ha la gestione dello stock per tutti i data center di Ovh nel mondo.
In magazzino arrivano i componenti dai produttori (per esempio le mainboard sono di Supermicro) e ripartono per le destinazioni dei data center. E questo avviene, ogni giorno.
Perciò, come ha spiegato Hochart, la velocità è un punto cardine.
La società ha in previsione di robotizzare una parte del magazzino per le attività più ripetitive di picking, ma al momento il meccanismo è oliato perfettamente con la componente umana.
Per il montaggio dei server gli operai hanno nel proprio lo spazi i soli componenti che servono. E questo vale anche per la composizione dei rack: sulla linea ci devono essere solo i componenti che servono.
Una linea di lavoro monta 48 server uguali per ogni rack: 16 componenti per 3 in orizzontale.
Testing e spedizione
Ogni server viene ovviamente testato.
I test variano se il server è composto con componenti provenienti da server di seconda o terza mano. I server vengono passati a benchmark anche dopo montati nel rack a 48 unità.
Nella factory di Croix si progettano e si producono anche le stazioni di pompaggio per l’acqua destinata a raffreddare i datacenter, che ricordiamo sono completamente disegnate in casa e le le attività cosiddette metal, di machining, necessarie alla produzione delle sgtrutture chge ospitano i server e i data center.
Sono attività appaltate a una società terza, che risiede fisicamente nella stessa factory di Croix per non dare soluzione di continuità alla produzione, che viene eseguita con macchine Trumpf TruBend 5230, 7036, 7036 Cell edition, TruLaser Cell, per il laser welding delle piastre di rame, e 5030 per la preparazione e il taglio delle piastre dei server,
Saldatura, fresatura, taglio laser, realizzazione delle placche di rame per le Cpu, i rack, le piastre dei server, non sono quindi il lavoro diretto di Ovh, ma vengono appaltate a un subcontractor in modo funzionale
La scelta delle macchine per la produzione meccanica è di Henryk Klaba, padre di Octave, che è un ingegnere meccanico, e che passa le sue giornate nella factory a ottimizzare l’esistente e a escogitare soluzioni nuove.
Il futuro non è un’ipotesi
Come quella che Klaba ci ha rivelato: si sta pensando a creare moduli di datacenter di 20 per 25 metri, quindi da 500 mq, capaci di contenere 20mila server.
Per farlo ha in progetto un sistema di cooling in rame alto 20 millimetri, che dissipa perfettamente. Affianco ci sarà una stazione di pompaggio compatta, attaccata al rack.
Attualmente i rack sono alti tre metri, ossia tre moduli da un metro. Klaba ha in progetto di arrivare a 6 metri. Con risparmio di energia del 30 percento.
Al lavoro con Klaba ci sono 20 ingegneri per tutte le discipline (elettricità, metallo, idraulica, meccanica, IT, networking) che fanno ricerca e test anche su temperatura e umidità.
E nel futuro c’è anche l’edge data center, che Ovh è già in grado di fornire, un datacenter in a box, completo. Un sistema che ha senso per quelle realtà, come le istituzioni, che hanno bisogno o di mantenere i dati in un unico posto e averne il controllo. Con la compressione delle dimensioni della singola unità e dell’ottimizzazione del comparto energetico e di raffreddamento sarà possibile ancora meglio.
E se sarà così torneremo a Croix per documentarlo.