Secondo il Censis, il 31,5% delle aziende si trova in una fase di ridimensionamento, ma sono molte le realtà a caccia di nuove professionalità: soprattutto export manager, agenti di commercio, esperti di comunicazione e nuovi media, sistemisti e programmatori.
La condizione
di molte imprese è ancora critica: il 31,5% si trova in una fase di
ridimensionamento, il 52,1% di stazionarietà, il 16,4% è in crescita.
Ma il dato
più rilevante è che una buona parte del nostro tessuto produttivo ha avviato
processi di riorganizzazione che hanno messo al centro la valorizzazione delle
competenze dei lavoratori. È la fotografia che emerge dall’indagine del Censis realizzata
per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per individuare le
reazioni delle imprese italiane alla crisi
Solo il
21,4% delle aziende con oltre 20 addetti è rimasto inerte, ma la maggioranza,
pari al 78,6%, ha cercato di intervenire con iniziative di innovazione
strutturale, con la creazione di nuovi prodotti e servizi (49,1%) o
l’introduzione di nuove tecnologie funzionali al miglioramento dei processi di
lavoro (45,1%). Il 38,9% si è concentrato sul
miglioramento dei canali di vendita e di comunicazione, il 34,3% sull’ingresso
in nuovi mercati territoriali, il 32,4% sul miglioramento della funzione finanziaria.
I tentativi
di innovazione si sono accompagnati in molti casi all’avvio di un processo di
ristrutturazione aziendale, spesso doloroso. Il 37,3% delle imprese ha espresso
l’esigenza di adeguare il proprio portafoglio di competenze al cambiamento. Si
tratta di una minoranza di aziende che ha dovuto ricercare sul mercato
competenze nuove, che prima non esistevano (nel 20,8% dei casi) o che negli
anni erano diventate obsolete (17,4%). Tra i nuovi profili richiesti dalle
aziende spiccano i commerciali (dagli export manager agli agenti di commercio,
ricercati dal 36,4% di queste imprese), i tecnici (32,4%), gli amministrativi
(31,4%) e gli ingegneri (25,4%). Da segnalare anche l’elevata richiesta di
esperti di comunicazione e nuovi media (ricercati dal 12,2%) e di informatici,
sistemisti e programmatori (10,1%).
Si registra
anche una discreta attenzione per la formazione e l’aggiornamento
professionale. Un quarto delle aziende (26,9%) è ricorso a interventi di
riconversione del personale, due terzi (66,4%) hanno promosso attività interne
di aggiornamento e formazione: il 36,2% tramite formatori o consulenti che
hanno organizzato attività interne, il 23,8% con la partecipazione a fiere, il
20% tramite scambi con fornitori e clienti.
L’inserimento
di nuove risorse in sostituzione delle vecchie o il ricorso a competenze
esterne più specialistiche, utili a supportare il cambiamento, si sono
accompagnati all’ottimizzazione dell’organizzazione, con il reengineering dei
processi lavorativi (38%), la riorganizzazione dei gruppi di lavoro (31,7%), la
revisione dei turni e degli orari (26,5%), la ridefinizione del sistema di
valutazione e dei meccanismi premiali (28%). Le resistenze interne del
personale hanno condizionato in molti casi (54%) l’avvio dei nuovi processi. E
le valutazioni dei risultati finora raggiunti non sono del tutto positive: solo
il 25,6% degli imprenditori è pienamente soddisfatto, mentre la maggioranza
(52,1%) dà un giudizio di sufficienza e il 22,3% non si ritiene ancora
contento.
Da un lato, emerge una logica di
tipo difensivo da parte di quelle aziende che vivono una fase di
ridimensionamento e per le quali la riorganizzazione rappresenta l’ultima
chance di sopravvivenza. In questo caso, l’intervento sul fronte organizzativo è
drastico, con tagli al personale (48,7%), riduzione di orari, riqualificazione
e riconversione delle figure professionali esistenti (30,9%). Sono quelle
aziende in cui gli esiti appaiono al momento più incerti, a detta degli stessi
imprenditori: il 37,4% giudica i risultati ancora non soddisfacenti, se non
deludenti. All’estremo opposto, vi è invece un modello di riorganizzazione
aziendale che segue una logica molto più spinta e aggressiva, che riguarda però
solo l’8% delle aziende. In questo caso, la riorganizzazione segue un percorso
di forte innovazione nel rapporto con il mercato, nella definizione dei
prodotti e dei processi, nell’applicazione delle tecnologie. In tali realtà
l’occupazione cresce. Il 75% di esse ha inserito nuove professionalità in
azienda negli ultimi tre anni e il 53% ha dovuto acquisire nuove competenze di
cui prima non disponeva.
Emerge con chiarezza la forte spinta data
all’innovazione dall’avvio dei processi di internazionalizzazione. Le aziende
presenti all’estero con propri prodotti, stabilimenti e punti vendita (il 43,7%
delle imprese interpellate) sono quelle che presentano i più alti livelli di innovazione.
L’inserimento di nuove professionalità (46,5%), la riqualificazione del
personale (34,6%), ma anche l’esternalizzazione di funzioni che prima venivano
svolte internamente (20,3%) e l’uscita di professionalità non più utili
(39,7%), sono stati i cardini del loro intervento.