Il primo, in ordine di tempo, è stato Amazon che, tra il 2006 e il 2007, con S3, ha cominciato a proporre il suo servizio di storage on the cloud specializzandosi in servizi di infrastruttura seguita, un biennio più tardi, da Microsoft che, dai software all’infrastruttura passando dalla piattaforma, oggi possiede una completa offerta di servizi cloud sul mercato. A propria volta, Google propone servizi di piattaforma, software e infrastruttura, mentre Vmware ha fatto della virtualizzazione il proprio marchio di fabbrica e Ibm ha acquistato SoftLayer nel 2013 portandosi in casa uno dei principali fornitori mondiali di infrastrutture di cloud computing.
Perché conviene il cloud
Definizioni a parte, ciò che interessa del cloud è il lato pratico, ossia la sua applicabilità presso utenti e imprese in cerca di una disponibilità delle risorse che sia al contempo on demand, self service e misurabile.
Una definizione iniziale troppo complessa rischia, infatti, di far perdere la trama e di trasformare anche le piccole e medie imprese più all’avanguardia in facili ostaggi di esperti cloud o presunti tali.
Ecco perché, che si opti per un modello di installazione privata, di comunità, pubblica o ibrida, le aziende che scelgono il cloud al posto delle soluzioni tradizionali devono, come primo step, decidere cosa portare sulla nuvola e quali servizi utilizzare, a livello di software o di infrastruttura, tenendo conto che, oggi, non sono pochi coloro che indicano un sostanziale vantaggio competitivo nel modello di It (non di cloud) ibrida.
Optare per una It ibrida consente, infatti, di beneficiare di un’unica infrastruttura, in cui coesistono It classica, cloud pubblico e cloud privato, utile a realizzare un’efficiente governance, uniformità e controllo, anche in termini di spesa, dei servizi cloud utilizzati, perché qualunque sia lo scenario, quel che conta davvero è definire fin da subito il livello di autonomia che si desidera o meno mantenere lungo il percorso di adozione della propria strategia cloud.
Con alle spalle una piattaforma trasparente di contabilizzazione delle risorse utilizzate e dei livelli di servizio garantiti (i cosiddetti SLA, o Service level agreement, siglati al momento della stipula del contratto con il provider selezionato), la gestione dei costi di un servizio erogato via cloud, e fruibile da un numero variabile di utenti connessi, è, per tutti, di tipo pay per use, tanto che l’elasticità offerta si conferma la caratteristica più di appeal per chi sceglie di andare sulla nuvola.
Tra gli elementi di valutazione rispetto a un’infrastruttura on premise, oltre ai ridotti tempi di implementazione, anche l’annullamento di spese ricorrenti come la manutenzione dell’hardware e del software, i costi del personale relativi alla gestione sistemistica e le spese inerenti servizi generali, che vanno dallo spazio fisico all’energia elettrica fino a condizionamento.
Come cambia la collaboration sul cloud
Pur di indubbio rilievo, il contenimento dei costi non rappresenta, però, la sola logica da prendere in considerazione per le piccole e medie imprese che scelgono la fornitura di Ict come servizio.
La necessità sempre più sentita di ricorrere a sistemi cloud Efss, ossia di Enterprise file synchronization and sharing, per accedere ai dati aziendali, modificarli e condividerli utilizzando un servizio che li contiene o ne gestisce l’accesso sta letteralmente spalancando le porte a un nuovo tipo di collaborazione.
Il proliferare di strumenti avanzati di comunicazione e condivisione di documenti in cloud con qualsiasi dispositivo, da qualunque luogo, in qualsiasi momento può, infatti, migliorare la produttività aziendale proponendo modelli non solo più facili da implementare ed economicamente meno onerosi, ma anche promotori di una condivisione centralizzata di dati, informazioni e contenuti, anche multimediali, attraverso connessioni Web o app native utili a promuovere nuove strategie di mobilità aziendale. Il tutto corredato da strumenti di gestione e controllo in grado di ridurre l’impegno e le risorse It necessarie a mantenere e distribuire informazioni e contenuti, e ad assistere i profili, i privilegi e le password di accesso degli utenti nel rispetto delle policy aziendali stabilite.
Inoltre, le aziende che scelgono di non utilizzare il cloud solo per migliorare la propria efficienza operazionale potranno estendere la loro proposizione di valore ai clienti arrivando addirittura a creare nuovi business e nuovi ambiti di mercato in cui operare. Nell’ottica di un’economia basata sulle Api, o Application programming interface, che consente alle aziende di affrontare via software i propri nodi organizzativi, diventa, infatti, possibile ristrutturare e riorganizzare i propri sistemi interni semplificando l’introduzione di nuove funzionalità e processi per aumentare l’agilità, così da raggiungere nuovi clienti con nuove proposte.
I benefici di uno smart workplace
La riorganizzazione in chiave cloud è, poi, destinata a liberare non poche risorse umane rendendo il flusso di processo aderente all’attività, più competitivo nell’immediato e maggiormente agile nel modificarsi domani. Dietro al concetto di cloud si apre, infatti, un mondo che, in risposta alle mutate esigenze di mercato, consente l’accesso a risorse e infrastrutture in mobilità da parte di gruppi di lavoro sempre più virtualizzati.
Ma che cos’è, come è fatto e quali sono le tecnologie che abilitano uno smart workplace, ossia un posto di lavoro intelligente? Se lo chiede un numero crescente di utenti e aziende che, immerso in un mondo sempre più digitale, è consapevole della strategicità di un approccio cloud che consente l’accesso rapido e facilitato ad applicazioni e infrastrutture esterne anche ai propri uffici fisici.
Perché ciò avvenga davvero occorre, però, mettere a fattor comune il buono della mobility con le potenzialità offerte dalle tecnologie di Unified Communication & Collaboration e dal social computing.
Obiettivo: stravolgere vecchi e ormai obsoleti concetti di fruizione del tempo e dello spazio favorendo la produttività individuale e la continuità operativa dei singoli.
Di fronte a un Bring Your Own Device passato in pochi anni dalla posizione di nemico numero uno in azienda a driver principale dell’ufficio esteso, la priorità diventa definire le politiche di gestione rispetto alla pluralità di dispositivi fissi e mobili utilizzati dalle risorse che lavorano o collaborano in azienda.
E se gestire la mobility è senza dubbio il primo passo per fare smart working, la produttività individuale di chi lavora con orari flessibili è abilitata da tecnologie mobili e da una comunicazione unificata che al suo interno include sistemi di videoconferenza e di visual content management associati a soluzioni di messaggistica unificata in grado di mettere a frutto i dati provenienti dal sistema di Crm implementato in azienda abbracciando un aspetto social mutuato dal mondo consumer, per il quale è richiesta l’implementazione in azienda di chiari, quanto aperti e condivisi, sistemi di governance e sicurezza.
Solo così diventa possibile migliorare i processi aziendali e abilitare il lavoro da remoto non solo a supporto dei dipendenti, ma di un intero ecosistema aziendale fatto di partner, clienti e fornitori.
Il risultato parla di lavoro agile, o lavoro smart, che può addirittura arrivare a non richiedere più alcuna postazione fissa in ufficio, grazie a una tecnologia cloud sempre più diffusa.