Il progetto legato alla posta elettronica certificata ha subìto una battuta d’arresto.
Il progetto legato alla “posta elettronica certificata” (PEC) ha subìto una battuta d’arresto. Non vi sarebbe la copertura economica necessaria per un’operazione del genere. Come sottolinea Il Sole 24ORE, il Ministero dell’Economia ha stilato una nota composta da otto pagine e quattordici punti dove vengono analizzate nel dettaglio le novità introdotte in commissione Affari costituzionali della Camera al DDL sulla semplificazione burocratica. In particolare, vengono bocciate le disposizioni relative alla posta elettronica certificata che apporterebbe rischi “di oneri eccessivi su imprese e professionisti“.
Nelle scorse ore la PEC era stato al centro del dibattito, in Rete, a proposito dei dati statistici forniti dal Ministro Brunetta. Secondo il portale “PostaCertificat@“, attraverso il quale i cittadini italiani maggiorenni possono inoltrare la domanda di attivazione dell’account PEC, gli indirizzi e-mail realmente attivati sarebbero al momento (aggiornamento delle 12,10) poco meno di 75.000. Quasi 213.000 le richieste pervenute al sito, molte delle quali però che non si sono tradotte, almeno per adesso, in un’effettiva attivazione. Un cittadino su tre, insomma, non si è recato presso un ufficio postale per attivare, nella pratica, la casella PEC che aveva richiesto oppure qualcosa è andato storto.
La “PEC italiana” mira a sostituire la raccomandata con ricevuta di ritorno e la consegna delle documentazioni agli sportelli preposti della Pubblica Amministrazione. Sebbene l’idea di base sia valida (la “dematerializzazione” va vista come un aspetto senza dubbio molto positivo), sulla PEC sono piovute diverse critiche. Così come attuato, si tratta di uno standard prettamente italiano che non trova corrispettivi all’estero.
Con la PEC viene definito un particolare “protocollo” che si prefigge di regolare lo scambio delle informazioni tra le “figure” che prendono parte alla comunicazione. Il flusso di informazioni transita, attraverso la cosiddetta “busta di trasporto“, tra il provider cui si appoggia il mittente ed il provider al quale fa riferimento il destinatario. Il provider del mittente prende in carico l’e-mail del mittende notificandogli l’evento; lo stesso provider provvede quindi a spedire la comunicazione al provider del destinatario che verifica l’integrità della busta di trasporto. Il provider del destinatario, quindi, invia un’e-mail di notifica al provider mittente informando circa l’avvenuta consegna della “busta” nell’account PEC del destinatario. Il provider del mittente, a questo punto, inoltra tale comunicazione all’account PEC del mittente informandolo circa l’avvenuta consegna dell’e-mail. La ricevuta di ritorno così ottenuta, che reca anche la data e l’ora si consegna dell’e-mail sull’account destinatario, ha valore legale.
Una delle principali contestazioni che vengono rivolte alla “PEC italiana” è la mancata certificazione del contenuto della busta di trasporto. Universalmente riconosciuto, S/MIME è ad esempio capace di garantire l’integrità di un messaggio grazie semplicemente all’utilizzo della firma digitale. Qualunque utente in possesso di un proprio certificato digitale può, con S/MIME, firmare digitalmente – in autonomia – qualsiasi messaggio di posta elettronica. Primo tra tutti a sostenere l’opportunità di valutare l’adozione di S/MIME è Massimo Penco, presidente dell’associazione “Cittadini di Internet” che spiega come si tratti di un protocollo riconosciuto a livello internazionale ed interoperabile in tutto il mondo.
In questo precedente articolo le altre eccezioni sollevate nei confronti della “PEC italiana”.
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