Per Matt Brittin, President of Business and Operations di Google in Emea, “La privacy non è più un nice to have: per i clienti è essenziale. I nostri risultati oggi mostrano che le persone sono disposte a condividere i loro dati, a condizione che i brand siano trasparenti su quali dati raccolgono, come vengono utilizzati e qual è il vantaggio per il cliente. Non c’è futuro per la pubblicità digitale senza privacy. È vitale che i brand si adattino a questo panorama in evoluzione investendo in una migliore misurazione end-to-end, creando uno scambio di valore chiaro e bidirezionale incentrato sui dati di prima parte e abbracciando nuove competenze e partnership“.
Secondo due studi commissionati da Google a Ipsos e BCG, l’utilizzo responsabile dei dati da parte dei professionisti marketing permette di ottenere un impatto positivo sulle entrate e maggiore efficienza, soddisfacendo allo stesso tempo la domanda dei consumatori relativa a un maggiore controllo su come i loro dati personali vengono utilizzati online.
La metodologia della ricerca Ipsos
La ricerca Ipsos, condotta tra il 2019 e il 2021, consiste in molteplici componenti qualitativi e quantitativi.
Uno studio online di 1.000 partecipanti per mercato, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, in quattro mercati europei (Regno Unito, Germania, Svezia e Paesi Bassi) per capire l’impatto percepito dei servizi personalizzati.
Un sondaggio online di 1.002 partecipanti di età compresa tra i 18 e i 70 anni in quattro mercati europei (Regno Unito, Germania, Francia e Paesi Bassi) che utilizza un approccio quantitativo sperimentale per modellare e mappare i comportamenti dichiarati rispetto a quelli reali.
Un sondaggio online di 1.002 partecipanti di età compresa tra 20 e 65 anni: un campione rappresentativo della popolazione dei Paesi Bassi che è online almeno un paio di volte alla settimana;
Un sondaggio online di 7.200 partecipanti di età compresa tra i 18 e i 70 anni in quattro mercati europei (Regno Unito, Germania, Francia e Paesi Bassi).
Ricerca etnografica per esplorare l’impatto dei servizi personalizzati, in collaborazione con i partecipanti nel Regno Unito e ad Amburgo.
Interviste con 12 partecipanti di età compresa tra 25 e 68 anni nei Paesi Bassi per esplorare le nozioni di privacy dei dati.
Uno studio qualitativo multimetodo condotto nel Regno Unito per esplorare il concetto di marketing responsabile con 14 partecipanti di età compresa tra i 18 e i 60 anni, utilizzando un mix di interviste individuali, audit di dati autogestiti e discussioni di gruppo.
Nello studio di Ipsos commissionato da Google e intitolato “Privacy by Design: Exceeding Customer Expectations“, si evidenzia che oltre due terzi (70%) degli utenti di internet tra i 16 e i 74 anni a livello globale sono preoccupati di come vengono utilizzate le informazioni raccolte su di loro quando sono online;
Solamente il 3% degli intervistati crede di avere il controllo completo della divulgazione e della rimozione dei propri dati online, mentre più di due terzi (68%) degli intervistati si sono dichiarati scettici riguardo al modo in cui le aziende usano i loro dati nel marketing.
Le persone, però, sono più soddisfatte degli annunci che considerano di valore. Secondo Ipsos nove utenti di internet su dieci (91%) tra i 16 e i 74 anni sono più propensi ad acquistare brand che forniscono offerte e suggerimenti per loro pertinenti.
Gli intervistati che si sentivano vicini a un brand erano più propensi a dare il permesso al brand di mostrare loro offerte di valore basate su informazioni più dettagliate e sono tre volte più propensi a rispondere positivamente alla pubblicità quando percepiscono una maggiore sensazione di controllo su come vengono utilizzati i loro dati.
Più qualcuno è vicino a fare un acquisto, più è probabile che percepisca gli annunci come pertinenti e che provi emozioni positive dopo averli visti.
Privacy e dati: fra il dire e il fare
Il report di Ipsos tre studi quantitativi condotti in diversi paesi europei (Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi e Svezia) tra il 2019 e il 2021, e una visione inedita delle modalità complesse e contraddittorie con cui i consumatori si comportano online.
Ipsos ha coniato un nuovo termine per questa dicotomia, definendolo il “say-do gap” (“divario tra il dire e il fare”).
Per esempio, l’80% degli intervistati ha detto di essere preoccupato per il potenziale uso improprio dei dati personali, ma il 93% si mostra favorevole nel fornire alle aziende informazioni che potrebbero essere considerate sensibili, come nome, indirizzo, dati di contatto o informazioni sulla propria famiglia, in cambio del servizio fornito.
Nello studio si sottolinea che mentre ci sono riscontri positivi per i professionisti del marketing che adottano un approccio incentrato sulla privacy, i brand che non danno alla privacy l’attenzione che merita rischiano di perdere la fiducia e il rispetto dei loro clienti.
La privacy che piace al marketing
Ipsos ha identificato tre aree chiave in cui i professionisti del marketing possono mettere la privacy dei consumatori al primo posto, senza rinunciare a creare campagne d’impatto:
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Dare un senso: le persone condivideranno volontariamente le proprie informazioni con le aziende che dimostrano una chiara proposta di valore. I professionisti del marketing possono rispondere comunicando chiaramente il valore di uno scambio al cliente e anticipando i suoi bisogni con messaggi pertinenti e tempestivi.
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Rendere memorabile: l’autorizzazione consapevole è preziosa. Le persone hanno una comprensione limitata di come funziona la privacy online, e questo influenza il modo in cui percepiscono la pubblicità. Quando però si ricordano delle scelte che hanno fatto in merito alla condivisione dei dati, hanno risposte più positive.
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Rendere gestibile: le persone si aspettano di avere controllo sui loro dati personali, e quando avvertono la mancanza di questo controllo, possono diventare scettiche nei confronti del marketing digitale. I professionisti del marketing dovrebbero fornire gli strumenti e le informazioni di cui le persone hanno bisogno per gestire le preferenze in materia di privacy, come la frequenza delle comunicazioni e la rinuncia alle categorie di interesse.
La maturità del marketing digitale, lo studio di Bcg
Un studio di Boston Consulting Group parte dal benchmark della maturità del marketing digitale del 2019 per capire meglio come le aziende utilizzano i dati proprietari per costruire relazioni più significative con i clienti e fornire esperienze migliori, e mira a ridefinire il futuro della maturità del marketing digitale.
Basato su workshop, interviste e audit con decine di agenzie, esperti e brand in tutta Europa, lo studio dimostra che i professionisti del marketing digitalmente maturi sono stati in grado di rispondere meglio alle mutevoli dinamiche del mercato e hanno avuto il doppio delle probabilità di aumentare la loro quota di mercato in un periodo di 12 mesi.
La metodologia dello studio BCG
Workshop e interviste per definire nuove ipotesi di maturità del marketing digitale;
25 “belief audit” con esperti, agenzie e brand;
Sondaggi di dirigenti senior di 67 brand in sei settori: automobilistico, vendita al dettaglio, beni di consumo, finanza, tecnologia e telecomunicazioni e viaggi;
Più di 15 interviste approfondite che si sono concentrate principalmente su esempi di best practice.
Hanno anche continuato a superare i concorrenti meno specializzati di una media di 29 punti percentuali in termini di risparmio sui costi e di 18 punti percentuali in termini di entrate.
Un maggior numero di brand ha migliorato la propria posizione nel BCG Digital Maturity Index dal 2019: ora, nel più recente studio, il 9% dei brand è considerato “best-in-class” e “multi-moment”, rispetto al 2% del 2019.
BCG suggerisce che i brand dovrebbero concentrarsi su quattro acceleratori chiave per rendere il loro business a prova di futuro, e risalire la classifica per trasformarsi in organizzazioni digitalmente mature.
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Costruire un ciclo virtuoso intorno ai dati di prima parte: i brand migliori comprendono quali dati sono utili e perché, e costruiscono proposte convincenti intorno ai dati di prima parte per ottenerli. Una best-practice sui dati riguarda uno scambio di valore bidirezionale: da un lato l’azienda acquisisce la capacità di fornire una migliore esperienza al cliente e un marketing più efficace, mentre il cliente ottiene informazioni utili, assistenza e offerte.
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Investire nella misurazione end-to-end: la capacità di misurare l’impatto dei diversi tipi di interazioni, indipendentemente dal canale, diventerà sempre più cruciale in un mondo senza cookie. I brand dovrebbero puntare a una vera misurazione end-to-end, sfruttando i modelli predittivi per colmare qualsiasi lacuna.
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Dare priorità all’agilità: implementare buone pratiche relative ai dati e applicare un approccio alla misurazione di tipo “test-and-learn” (sperimentare e apprendere) è difficile quando si opera in strutture organizzative tradizionali e isolate. Le organizzazioni dovrebbero quindi dare la priorità alla collaborazione agile tra team per essere pronte a rispondere più rapidamente alle dinamiche in continua evoluzione del mercato.
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Adottare nuove competenze e collaborazioni: i brand migliori rispondono alle carenze di competenze riqualificando il proprio personale e contemporaneamente sviluppano programmi di fidelizzazione per attrarre e trattenere i talenti. I brand dovrebbero innanzitutto colmare le lacune in termini di competenze mediante partnership, prima di sviluppare un’analisi più approfondita del miglior equilibrio tra capacità interne ed esterne.