Provare a fare business “senza licenza” Ciò che conta è il servizio

Lo scenario tecnologico si sta popolando di nuove società, che utilizzano il software open source per impostare un modello basato esclusivamente sulla fornitura di servizi all’impresa. Dietro ci sono i manager che hanno fatto la generazione precedente dell’It. Davanti, forse, c’è il futuro.

Jotspot, SpikeSource, SourceLabs e Xamlon. Sono i nomi nuovi dello scenario tecnologico statunitense e che rappresentano un fenomeno crescente, dato che hanno vari denominatori in comune.


Sono start up, cioè società di fresca costituzione, ben finanziate, gestite da "vecchie volpi" del panorama It, ovvero manager di lungo corso, alcuni con passato in società altisonanti, e sono dedite all’open source.


Non nel mero senso dello sviluppo software, quanto piuttosto in quello del modello di business che propongono: fare soldi non vendendo software, che è libero, ma con i servizi.


Il mese scorso, a San Francisco si sono dati convegno i "reduci" delle dotcom. L’occasione per farlo è stata la Web 2.0 Conference, un incontro-raduno fatto da chi è stato protagonista della cosiddetta new economy.


I convenuti si sono espressi su quello che sarà il futuro di Internet e del nuovo business che ci si può creare attorno.


Personaggi come Joe Krause, Jeff Bezos (Amazon), Marc Andreessen, (Netscape) e, soprattutto Marc Cuban hanno espresso le loro idee. Il più ascoltato è stato proprio l’ultimo, che ora fa il proprietario della squadra di basket Nba, Dallas Mavericks. Cuban è un esempio per tutti, proprio per la sua capacità, conclamata dai fatti, di saper uscirne in tempo, dato che la squadra Nba se l’era comprata vendendo la propria creatura Web (Broadcast.com a Yahoo) quando era all’apice della valutazione. Cuban viene ritenuto un segugio in fatto di start up, come esemplifica il caso di Mamma.com.


Nel marzo scorso il suo interessamento a quello che si definiva come "nuovo Google", o anche "la madre di tutti i motori di ricerca", che voleva fornire un meccanismo di search per i servizi di marketing online, catalizzò l’attenzione. Cuban ci investì qualche soldo.


Ma a luglio ci ha ripensato e ha portato via il suo 6,3%, indispettito dai troppi fondi privati accorsi a sostenere l’intrapresa. Risultato: il titolo di mamma.com crollò del 15%.


Ora quei soldini li ha messi un Icerocket, che però viene definito dal vulcanico presidente dei Mavs "il mio giocattolo" (e se poi si dovesse rompere il giocattolo?).


Comunque, il clima che ruota attorno alle start up Web non è ovunque così influenzato dall’entertainment. C’è anche chi prova a fare cose serie. Di Vivisimo, con il motore di ricerca Clusty, si è già detto su queste pagine (si veda n°33, pagina 5). Nell’ultimo periodo sono assurte alla ribalta altre realtà.

Le creazioni degli imprenditori "d’assalto"


Una, singolarissima per modi e stili comportamentali, è Xamlon. Creata da Paul Colton, ingegnere del software e imprenditore, Xamlon ha rilasciato da poco un kit per sviluppare velocemente interfacce per applicazioni Web.


La novità imprenditoriale di questa start up è data dal fatto che Colton ha creato l’Sdk ispirandosi alle specifiche tecniche rese note da Microsoft quando presentò il progetto Avalon, ovvero lo strumento per gestire le interfacce Web che sarà contenuto nella nuova versione del suo sistema operativo, Longhorn.


Colton prese i cosiddetti blueprint con cui Microsoft un anno fa alla Professional Developer Conference spiegò cosa voleva costruire e ne fece il proprio progetto di sviluppo.


E ora che Microsoft ha deciso di rinviare Longhorn al 2006, Colton ha due anni di vantaggio su un prodotto su cui Microsoft pone una grande valenza strategica. In più c’è che Xamlon si adatta a versioni di Windows anche anteriori a quelle per cui Microsoft vuole far funzionare Avalon. Insomma, ecco una start up veramente "open", soprattutto nel modello di business.


Un’altra è Jotspot, ed è stata creata dai cofondatori di Excite.com, Joe Kraus e Graham Spencer. Il fine di Jotspot è quello di istituire il principio "wiki" nella fruizione di software enterprise. Termine tratto dal lessico hawaiano (significa veloce), nel mondo tecnologico usato per significare un pezzo di software che consente a chiunque di creare ed editare contenuti liberamente, con sintassi semplicissima) nel campo dello sviluppo delle applicazioni Web, mettendo a disposizione un template online.


Un punto di incontro, insomma, in cui persone diverse possono contribuire a progetti di sviluppo, utilizzando un’interfaccia comune.


Si tratta, in breve, di un portale per i progetti software su cui possono costituirsi gruppi di lavoro virtuali: ogni pagina di Jotspot avrà una casella di posta in cui chi ci ha lavorato potrà tenere traccia delle corrispondenze avute sui progetti in corso.


Si tratta, dunque, di un agorà per la creazione di applicazioni Web che farà anche uso di documenti Office, via Soap. Una cosa in cui i venture capitalist Mayfield e Redpoint ci hanno messo più di 5 milioni di dollari.


Ma ancora più eclatanti sono i casi di SpikeSource e SourceLabs.


A dicembre vedrà la luce il primo passo ufficiale dell’esistenza di SpikeSource, una società fondata nel maggio dello scorso anno in cui operano facce note del mondo It.


Il Ceo della start up californiana (sita in un luogo "nobile" dell’It, Menlo Park), infatti, è Kim Polese, una carriera in Sun e poi timoniere di Marimba, mentre presidente è Ray Lane, ex Coo di Oracle.


Primo passo ufficiale significa la versione beta della soluzione che rappresenta il core business nella nuova società, uno stack integrato di software open source per la fornitura di servizi di integrazione Linux end-to-end.


In aprile SpikeSource rilasciò una versione alpha della soluzione, che racchiudeva stack di Linux, Apache, MySql, Perl/Python/Php e Java, chiamata in codice Lampj.


Il fine del prodotto in fase di rilascio per il testing è quello di mettere insieme tanti stack open source certificati e funzionanti per abilitare processi di integrazione applicativa che sappiano ridurre i costi di gestione delle infrastrutture.


Il tool di SpikeSource che si vedrà a breve, quindi, conterrà più di 50 componenti open source, inclusi, oltre a quelli precedentemente citati, frammenti provenienti da JBoss, Tomcat, Axis e Hibernate.


Il software sarà certificato, gestito, supportato e aggiornato da SpikeSource e potrà girare su molte distribuzioni Linux in circolazione, da SuSe a Red Hat 9, da Rhel 3 a Fedora.


Proprio in relazione a Red Hat, va ricordato che lo scorso anno la società del North Carolina fece partire un’iniziativa similare, chiamata Open Source Architecture, che puntava all’inserimento di un middleware di integrazione sopra il proprio kernel Linux.


SpikeSource, invece, dice di differenziarsi dall’approccio di Red Hat in quanto intende portare l’attività di integrazione al di sopra dello stack applicativo tipica dei Web server, dei Rdbms e delle piattaforme per lo sviluppo di applicazioni Web.


SourceLabs, invece, è una società che ha raccolto 3,5 milioni di finanziamento dai fondi di investimento Ignition Partners e Index Ventures e che si prefigge di diventare una "Dell del software", agendo come broker di applicazioni open source di taglio enterprise da piazzare via Web, fornendo servizi di assistenza.


Questo, in sintesi, il piano industriale della realtà a cui lavorano manager provenienti da Bea, come il co-fondatore Byron Sebastian (assieme a Brad Silverberg, che in una vita precedente è stato senior vice president di Microsoft ed ora è il rappresentante di Ignition nel board), Will Pugh (chief architect), Cornelius Willis (direttore vendite) e Adam Bosworth, consulente della nuova realtà (a tempo pieno è direttore dell’engineering di Google). Perché il punto di riferimento debba essere Dell lo ha spiegato Silverberg, che immagina un modello di vendita basato su un configuratore come quello classico della casa texana, mediante il quale le aziende che vogliono orientarsi all’open source possono scegliere fra tutto quanto trovato, ritenuto meritevole e messo assieme da SourceLabs.


La nuova società, quindi, distribuirà tutto quanto fa software open source, enterprise application comprese, a cui abbinerà un pacchetto di servizi basati sul modello a sottoscrizione.


Fondamentali, comunque, saranno, da un lato le partnership, come quella con MySql (che fornisce un database open source) che pare SourceLabs stia già tentando di ingaggiare, o con JBoss e, soprattutto, il feedback da parte degli utenti business.


E, ovviamente, alla finestra ci sono le varie Ibm, Novell, Hp, Oracle, Sun e, perché no, anche Microsoft, in virtù del fatto che la nuova esperienza, anche se non è proprio la "reinvenzione della ruota", come detto da Sebastian, rappresenta già il primo tentativo di "brokeraggio" applicativo di quella parte del panorama software in cui il tasso di nuove società è più elevato.

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