Il rapporto è con la comunità di sviluppo, dentro la società e con i Cio. E sul cloud, pokeristicamente, fa giocare tutto: all-in.
Gianugo Rabellino è da tre mesi Senior Director Open Source Communities di Microsoft. Ha seguito l’open source sin dagli albori del fenomeno. E stato membro e Vp della Apache Software Foundation, co-fondato la Italian Linux Society, contribuendo a numerosi progetti e implementando soluzioni open in varie realtà, nazionali e non.
Il suo blog lo racconta bene.
Che ci fa in Microsoft?
«L’evangelista opensource».
Per via del cloud?
«Non solo, per via del business.
Ma più che di opensource, parliamo di openness, che è un termine più adeguato, ampio, che comprende tutte le tecnologie software, capace di abbracciare tutti i momenti che lo riguardano, da come viene pensato a come è implementato. Parti di questo processo possono essere open.
Microsoft ha chiaro l’impegno sull’interoperabilità e in questo senso openness vuol dire dialogo».
Dialogo con chi?
«Con l’ecosistema, con la comunità di esperti. Su vari temi.
Da Html5 a Internet Explorer 9».
In che modo?
«Dando certezze e separando ciò che è stabile da cosa non lo è. Un approccio conservativo allo sviluppo non porta da nessuna parte. Meglio confrontarsi, da subito. Noi vogliamo dare sicurezza. Quindi prendiamo le specifiche stabili e le implementiamo.
Per esempio con Html5 Labs, la risorsa aperta a professionisti e sviluppatori, lavoriamo così.
La parte stabile viaggia in parallelo con quella ascritta ai Labs. E poi condivide le risultanze. Sempre e solo con chi è interessato».
Un debug anzitempo, insomma. Astenersi perditempo. Ma le aziende in tutto questo come rientrano?
«Nel mio team c’è il gruppo Iec (Interoperability Executive Council), composto da Cio di grandi società, che funziona da advisory board. Una community chiusa, che comunica e si incontra un paio di volte all’anno per confrontare le esigenze».
Come lavora il team di interoperabilità?
«È diviso in tre gruppi. Uno lavora sugli standard, partecipa agli standard body ed è guidato dal co-chair di Html5. Un altro è fatto da engineer: sviluppatori che pensano al codice. Poi c’è il mio, quello degli evangelizzatori, che dialoga con la comunità. In tutto 30 persone. Un numero che significa poco, se non lo si intende come fattore di moltiplicazione, fuori, ma anche dentro Microsoft».
Tornando al cloud, che rapporto ha con l’openness per come l’abbiamo descritta si qui?
«Per Microsoft è una scommessa forte: all-in, ce la giochiamo sull’open cloud, andando a creare gli standard per un sistema aperto».
A conferma di questa attitudine, la chiosa finale: «l’open da solo non basta. È filosofia. Ci vuole un motivo per farlo».
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