Raee: servono consumatori consapevoli

Lavorare su stili di vita, logiche di costo e traffici illegali verso Paesi in via di sviluppo. L’impegno di ReMedia va oltre la raccolta e il riciclo dei rifiuti Hi-tech.

Pattini da ghiaccio che diventano utensili da taglio, Vhs il cui nastro si rivela più resistente di una liana fatta in casa, resti di un bagno chimico adibiti a vela per un’imbarcazione di fortuna. Chiamato dal Consorzio ReMedia a immaginare un viaggio nel futuro da qui al 2020 il primo ricercatore del Cnr, Mario Tozzi, sfrutta con mestiere l’esempio cinematografico del naufrago Tom Hanks in Cast Away costretto a fare di necessità sopravvivenza. È proprio il protagonista del film di Robert Zemeckis a ispirare al volto televisivo di “Gaia – il pianeta che vive” e “La Gaia scienza“, la riflessione che «l’essere umano vive in armonia con il resto del mondo solo in condizioni di estrema emergenza».
Emergenza che, considerati i livelli di consumo dei 6,5 miliardi d’individui che popolano la terra, l’attuale richiesta di fabbisogno energetico e l’esauribilità delle risorse, è già in atto.

«Basti pensare – prosegue Tozzi – che, ogni anno, a livello mondiale, vengono prodotti circa 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, l’unica tipologia di rifiuti al mondo in più rapida crescita, con incrementi del 5% anno su anno». Se a questo si aggiunge che nell’Unione Europea «abitata da consumatori sempre più anziani e sempre meno propensi a mutare le proprie abitudini» ogni anno vengono prodotti 8,7 milioni di tonnellate di rifiuti Raee di cui oltre 6 milioni non riciclati, la battaglia per ridurre i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche è praticamente perduta. O forse no, visto che in un ulteriore scenario delineato nell’appuntamento annuale patrocinato da ReMedia per immaginare un futuro sostenibile, fanno capolino consumatori che «seppur supportati a volte in maniera discutibile anche dal sistema di incentivi» hanno creduto e credono in prodotti e aziende “green”. Le stesse che incoraggiano l’orientamento di questi clienti investendo in innovazione e in contratti di servizio al fine di evitare la sola vendita di prodotti.

A domandarsi se questo possa, però, bastare è il giornalista e attivista ambientalista Mike Anane che, in collegamento via Skype dal Ghana, denuncia come, in beffa alla Convenzione di Basilea, continuino a prevalere «logiche di costo e traffici illegali verso Paesi in via di sviluppo» come il suo, nel quale pile di televisori e computer inutilizzabili affollano, «sotto forma di donazioni», vere e proprie discariche a cielo aperto. «La stragrante maggioranza dei rifiuti elettronici contenenti sostanze pericolose – è la denuncia -, non vengono riciclati negli Stati Uniti o nei Paesi dell’Unione europea, ma riversati in Africa, dove le infrastrutture per smaltire questa tipologia di prodotti sono del tutto inesistenti». Il dito è, dunque, puntato sulle responsabilità dei singoli Governi, ma anche dei produttori di elettronica, elettrodomestici, giocattoli, apparecchi musicali, climatizzatori, strumenti musicali e orologi. «A loro – afferma Anane – chiediamo di vigilare sul corretto smaltimento dei singoli prodotti, ma anche di operare una graduale eliminazione delle sostanze tossiche di alcuni componenti e di certificare i propri apparecchi affinché i consumatori possano attuare scelte di acquisto consapevoli».

Proprio in tema di certificazioni, in collegamento da Portland, in Oregon, Wayne Rifer, Epeat director of standards and product verification – Green Electronics Council, ricorda come «sempre più hardware vendor aderiscano volontariamente a uno standard – l’Epeat, appunto – che a oggi ha classificato oltre un migliaio di pc da tavolo, portatili e monitor classificandoli come acquisiti ecosostenibili». A questo serve l’Electronic Product Environmental Assesment Tool costruito su 51 criteri, di cui 23 obbligatori, e 8 categorie di performance ambientali a copertura dell’intero ciclo di vita del prodotto. «In base al numero di criteri opzionali raggiunti dopo il conseguimento di quelli obbligatori – spiega Rifer – si viene classificati come Bronze, Silver o Gold, un riconoscimento quest’ultimo inizialmente raggiunto solo da Dell e Hp, ma oggi traguardo di molti produttori». Così, in attesa che lo standard Epeat venga ulteriormente esteso anche a stampanti, Tv, server, fax, fotocopiatrici, telefoni cellulari e palmari, definendo quanto un prodotto è da considerarsi veramente “verde”, di fondamentale importanza «è stata l’adozione di Epeat da parte del Governo Federale degli Stati Uniti, che ha emanato una normativa secondo la quale il 95% degli acquisti It federali devono essere certificati con questo standard».

E da noi? I dati del 2009 riportati da Danilo Bonato, direttore generale di ReMedia, parlano di 8 miliardi di apparecchi elettrici ed elettronici «acquistati dai consumatori domestici dell’Europa dei 27, per oltre 12 milioni di tonnellate di prodotti. Di questi – è la nota dolente -, 9,5 milioni di tonnellate diventano rifiuti Raee di cui, solo 3,2 milioni vengono smaltiti in maniera corretta». E i rimanenti 6,3 milioni? All’export illegale denunciato da Anane si sommano uno smaltimento irresponsabile e un riciclaggio abusivo «ai quali vanno imputati 2,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio che non siamo in grado di risparmiare e che equivalgono a 25 milioni di tonnellate di anidride carbonica prodotte in più». Così, se a livello di normative anche l’Europa, grazie alla direttiva Weee, «si trova a buon punto», il panorama potrebbe essere ulteriormente migliorato «rendendo maggiormente omogenea l’adozione degli standard di trattamento in vigore nei diversi Paesi europei». Infine, per Bonato, l’industria del riciclo dovrebbe premiare di più chi investe su aziende e prodotti più attenti all’ambiente, non solo in ambito Hi-tech.

Che il cosiddetto “uno contro uno”, finalmente sancito in Italia con decreto attuativo 65/2010, in vigore dal prossimo 18 giugno possa dare la giusta sferzata? Lo speriamo un po’ tutti, anche se il pensiero di Tozzi che «senza consumatori consapevoli e meno influenzati dai contenuti televisivi come, invece, avviene in Italia, non andiamo da nessuna parte» è ampiamente condivisibile. Specie se chi produce non entra in una logica meno consumistica dando spazio a tecnologie che, oltre a innovare davvero, durino senza essere già obsolete prima ancora di essere proposte.

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