Abbiamo realizzato un ciclo di interviste con le principali società ICT e digitali sul 2021, alla luce del tema del Recovery plan, il piano per la ripresa, economica e sociale, delle nazioni europee.
Il governo italiano lo ha chiamato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), l’Europa ha varato la formula Next Generation EU. A noi, nella sede che ci compete, quella tecnologica, piace declinarlo come Next Generation IT: IT inteso, sia come Information technology, sia come Italia.
Otto domande, le cui risposte ci consentono di portare a evidenza la posizione della società e a costruire un quadro complessivo di partecipazione delle realtà ICT alla crescita del Paese in senso digitale.
Il contesto di partenza, dunque, è quello del Recovery Plan. Dei 196 miliardi di euro che potrà investire il nostro paese, quasi 49 miliardi saranno destinati alla trasformazione digitale della società italiana. Ma il digitale entrerà anche negli altri settori: la sanità, l’istruzione, le infrastrutture e la transizione verso la sostenibilità energetica e ambientale. In tutti questi ambiti il ruolo dell’ICT sarà centrale nel 2021.
Li affrontiamo sulla base di sette argomenti più uno: tecnologie per il recovery plan, smart working, data driven, cloud, cybersecurity, intelligenza artificiale, 5G. L’ottavo elemento è quello “celato” nel DNA della società e connota in modo inequivocabile e distinguibile la cifra tecnologica, il contributo che darà allo sviluppo digitale nazionale.
Intervista ad Alberto Filisetti, Country Manager di Nutanix Italia.
Nel contesto del Recovery plan – Next generation IT, quali sono le leve tecnologiche che andranno mosse per prime, per ottenere quali obiettivi?
Abbiamo l’opportunità unica ed irripetibile di poter recuperare il gap digitale che da sempre l’Italia ha nei confronti della maggior parte dei Paesi Europei. Partiamo dagli obiettivi: l’accesso ad alta velocità alle informazioni è la chiave per il successo del piano di trasformazione digitale del Paese. Parallelamente dobbiamo lavorare ai contenuti razionalizzando l’enorme mole di dati che abbiamo a disposizione e facendo in modo che questo patrimonio venga normalizzato affinché sia disponibile per qualsiasi servizio il cittadino e le imprese necessitino.
Lo smart working diventerà strutturale: con quali impatti tecnologici e organizzativi, in termini di workflow?
La tecnologia a supporto dello smart working non è cosa recente ma, in virtù della contingenza che stiamo vivendo, finalmente è diventata pervasiva e ne apprezziamo l’utilità. Quando parliamo di smart working, pertanto, la chiave non è quella tecnologica ma quella organizzativa e legislativa: quanto oggi gestito in virtù dell’emergenza in atto, con la scadenza del 30 dicembre 2020, va innanzitutto regolamentato affinché possa divenire strutturale.
Lo smart working, ora necessario, ha riscosso comunque un apprezzamento per oltre il 60% dei lavoratori che lo hanno utilizzato nel valutarlo anche a valle di questa epidemia; di conseguenza dovremo rivedere i processi organizzativi all’interno delle aziende affinché questa nuova normalità possa divenire di uso comune.
Stiamo costruendo una società che deve imparare a coltivare i dati sin da quando nascono. Cosa servirà fare, soprattutto sul fronte delle Pmi?
Se la tecnologia non manca, qualcuno in un convegno a cui ho assistito ultimamente ha addirittura detto che ne abbiamo anche troppa, i dati non sono da meno. Siamo tutti dei generatori seriali di dati ma dobbiamo tener presenti due aspetti molto importanti: il primo è relativo al fatto che spesso i dati generati vivono di vita propria e difficilmente sono resi disponibili ad altro utilizzo e, come aggravante, oggi abbiamo innumerevoli modi di riporre i nostri dati in altrettanti innumerevoli contenitori, molto facilmente.
A tutto ciò aggiungiamo la maniacalità nella protezione dei dati che implica una ulteriore frammentazione in copie che si perdono nel tempo. Tanto nelle Pmi quanto in qualsiasi altro tipo di attività serve introdurre la cultura e la disciplina della gestione dei dati a partire dalla generazione degli stessi, il loro utilizzo, l’archiviazione e quindi la protezione.
Il passo successivo è investire nella correlazione e interazione dei dati per sfruttarne appieno il loro valore. Parafrasando un relatore di spicco ad un altro convegno a cui ho avuto modo di partecipare, “i dati saranno il petrolio dei prossimi anni” e, la persona in questione, di petrolio se ne intende.
Nel 2021 il cloud sarà per tutto e per tutti: il multicloud diventa la nuova pista di decollo?
Il cloud, inteso come cloud pubblico, è già alla portata di tutti: lo utilizziamo privatamente da anni per la posta elettronica, il backup del nostro telefono, per archiviare fotografie ed in mille altri modi diversi. Alla stessa stregua si stanno comportando le aziende tanto in modalità SaaS (Software as a Service) tanto in modalità IaaS (Infrastructure as a Service). Ma perché le aziende dovrebbero utilizzare le risorse offerte dal cloud pubblico?
Per quanto riguarda la modalità SaaS la risposta è semplice: delegare una terza parte all’erogazione di uno specifico servizio che richiederebbe tanto competenze interne lontane dal business dell’azienda quanto una infrastruttura dedicata al servizio stesso. Per la modalità IaaS la risposta è un po’ più articolata: si va da una strategia dell’azienda che vuole ‘liberarsi’ di tutti gli asset IT fino alla startup che dovendo cominciare una attività in tempi brevi non ha tanto le risorse quanto le competenze per implementare quanto necessario in casa propria. Non ultimo e probabilmente neppure tanto lontano dalla realtà, spesso le nostre aziende accedono al cloud pubblico in modalità IaaS come risposta rapida alle richieste del business difficilmente soddisfabili dalle attuali risorse IT interne basate su un modello tecnologico obsoleto. La realtà dei fatti dice che l’adozione del cloud pubblico in Italia si attesta ad una percentuale del 59% (dato dell’Osservatorio del Politecnico di Milano), sicuramente un numero non trascurabile.
La scelta dell’utilizzo del cloud pubblico deve essere fatta in modo molto oculata: le applicazioni, per essere ottimizzate, devono essere riscritte, i costi vanno monitorati, il proprio personale va formato e, non ultimo, dobbiamo traguardare l’obiettivo di non legarci a vita con un solo fornitore di servizi cloud. A tal proposito si è cominciato a parlare tanto di hybrid cloud (ovvero la possibilità di utilizzare il cloud pubblico come estensione del cloud privato delle aziende) ed ancor più di multicloud (ovvero garantire la portabilità delle applicazioni su cloud pubblici diversi, per esigenze di costo o prestazioni).
Non c’è un modello universale per tutte le aziende ma la tecnologia che abbiamo a disposizione ci consente di traguardare tutti gli scenari possibili. Come già accennato, il driver prevalente è il controllo dei costi ma non facciamo l’errore macroscopico di complicarci troppo la vita con una gestione esageratamente articolata con l’obiettivo di risparmiare senza renderci conto dell’onerosità che comporta la gestione stessa.
Al pari della salute, la sicurezza è sempre più un tema da regia nazionale. Per quella digitale l’Italia è chiamata a fare un passo avanti. Cosa servirà per compierlo?
La cybersecurity è uno degli argomenti che sta destando maggior clamore e non solo in Italia. Oggi stiamo assistendo ad una esplosione di device collegati alla rete ed ancor di più ne avremo con le nuove tecnologie come il 5G che per sua natura si presta a servizi di IoT. Leggiamo notizie di attacchi ransomware tutti i giorni, anche ad aziende blasonate, che ne comportano il fermo delle attività produttive. Il mondo della cybersecurity è in perenne fermento tanto quanto di quello di coloro che provano a violare la sicurezza delle nostre aziende.
Come già sottolineato prima, la tecnologia atta a proteggere i nostri dati non manca: tra le diverse tipologie di vulnerabilità che hanno aumentato l’esposizione al rischio delle organizzazioni emergono fattori legati a tecnologia obsoleta o eterogenea o aggiornamenti e patch non effettuati con regolarità, ma sono la distrazione e la scarsa consapevolezza dei dipendenti a rappresentare ancora una volta la criticità prevalente per oltre l’80% delle aziende. Il vero passo che dovremo fare, al di la di un adeguamento tecnologico, sarà pertanto l’educazione di noi tutti al corretto utilizzo degli strumenti informatici utilizzati quotidianamente.
Sdoganata dalle applicazioni consumer, l’intelligenza artificiale non sembra più essere un “nemico” della società. In che modo la vedremo messa a frutto per la crescita del Paese?
L’intelligenza artificiale o meglio il machine learning, che è la capacità di un programma, o software, di imparare in modo naturale dall’esperienza, esattamente come gli esseri umani, in effetti non sembra essere più il nemico della società. I campi di utilizzo sono i più svariati: dai motori di ricerca ai sistemi di prevenzione di frodi, furto dati e identità, supporto alla prevenzione e diagnosi medica, dalla guida autonoma fino alla gestione ottimale dell’irrigazione del prato.
Anche senza la nostra totale consapevolezza il modo di interagire e usare la tecnologia verrà modificato e migliorato grazie a questi nuovi modelli. L’Italia è famosa per i suoi talenti nel campo dell’innovazione, non c’è veramente limite e il potenziale di questa tecnologia è ancora inesplorato. Sono curioso di vedere come ci distingueremo in questo ambito.
Il 5G è alle porte. Come si potrà partire contestualizzandolo nei settori del recovery plan?
Il 5G stravolge il mondo della connettività non tanto per le sue prestazioni ma quanto per il fatto che è stato pensato in un’ottica di erogazione di servizi. Questo è possibile in quanto la tecnologia 5G introduce un concetto di slicing ovvero di suddivisione della rete per ottimizzare le risorse in modo ottimale all’applicazione che le utilizza: parliamo quindi di servizi rivolti alle smart city, all’healthcare, all’automotive, al manufacturing, alla logistica, all’IOT e molti altri ancora. Volendo traguardare un percorso di trasformazione digitale, ovvero lo sviluppo di una società digitale dove cittadini e imprese sono, e devono essere, i beneficiari dei servizi di pubblica utilità, il 5G potrà e dovrà giocare un ruolo strategico. Proviamo a pensare, soprattutto in questo difficile periodo, i benefici di poter avere i dati sanitari in tempo reale, dalla diagnostica alla refertazione, integrati con i portali del Ministero della Salute o quelli delle Regioni; proviamo a pensare ai benefici che potremmo avere da un tracciamento puntuale della pandemia. Questi sono solo due esempi tra i mille in cui si potrebbero costruire dei progetti concreti e supportati dal recovery plan che coinvolgerebbero la tecnologia 5G. Non cogliere questa occasione aumenterebbe il ritardo che già il nostro Paese manifesta nel percorso di trasformazione digitale.
L’ottavo elemento: cosa caratterizzerà l’agire di Nutanix nel 2021?
Nutanix ha iniziato il proprio cammino nel 2009 introducendo una soluzione disruptive per l’erogazione di servizi da un datacenter on-premise con gli stessi benefici di un cloud pubblico. Nei dieci anni che ci portano al presente Nutanix ha saputo trasformarsi continuando a innovare, aggiungendo servizi alla soluzione iniziale, facendosi portavoce di eccellenza nel supportare i propri clienti nel percorso di trasformazione digitale ove l’IT, tanto on-premise quanto in cloud pubblico, potesse essere finalmente considerato non solo funzionale al business ma altresì abilitatore dello stesso. In Italia l’azienda è cresciuta molto rapidamente tanto nel numero dei suoi dipendenti quanto nel numero di clienti che si sono rivolti a noi per percorrere insieme questo cammino.
Il 2021 segnerà un ulteriore passo nel nostro percorso di crescita e maturazione: la nostra visione di un unico framework a beneficio delle applicazioni aziendali che possano trarre i benefici di una infrastruttura eterogenea, che va dal private al public e multicloud, senza rinunciare alla semplicità di utilizzo ed all’eccellenza del supporto, ben si coniuga con le evoluzioni a cui stiamo assistendo.
La trasformazione digitale è un percorso necessario per mantenere la competitività e la produttività che il mercato richiede ed è legata a doppio filo con l’innovazione di cui Nutanix è portavoce.