A guardare le offerte e le segnalazioni che appaiono nelle nostre email o anche direttamente sui display dei nostri smartphone sembra di avere uno sterminato ecommerce alla distanza di un clic o di un tocco delle dita. È in parte vero: le previsioni di chi vedeva nella vendita online l’elemento “disruptive” dello shopping e quindi del retail sono state confermate. I grandi brand hanno abbracciato, volenti o meno, l’evoluzione del retail digitale ed eccoci quindi a parlare sempre più spesso di omnicanalità.
Fin qui tutto bene, naturalmente. Ma l’impressione di diversi osservatori è che a un certo punto la carica innovativa del retail digitale si sia attenuata. Per ovvie ragioni, tutte comprensibili, le grandi aziende – tanto vendor quanto retailer – hanno provveduto a far evolvere quello che già stavano portando avanti, senza la possibilità (o l’interesse) di rivoluzionarlo.
D’altronde per qualsiasi brand grande o piccolo le cose non si sono certo semplificate negli ultimi anni, in cui il concetto stesso di omnicanalità ha reso molto più articolato il passaggio al retail digitale. Non basta più l’ecommerce, serve un approccio integrato tra analogico e digitale e questo riduce ancora lo spazio di manovra: tempi e risorse sono quelli che sono, le tecnologie da seguire e magari da testare invece sono sempre di più.
Si può spingere il retail digitale verso direzioni più innovative? Guardando alla storia di altri settori viene da rispondere affermativamente. Prima le tecnologie migliorano i processi che già ci sono, poi permettono di creare approcci nuovi alla gestione della supply chain una volta che questa è stata digitalizzata. O spingendo ulteriormente nella sua digitalizzazione.
Anche nel fashion ad esempio è praticabile la strada della disintermediazione o perlomeno della creazione di rapporti più dinamici e “tecnologici” lungo la filiera. Colpisce in questo senso che alcuni progetti di retail digitale che puntano proprio su tale aspetto abbiano alle spalle già diversi anni senza che siano nati grandi emulatori. Per fare un esempio noto ed essenzialmente B2B, ricordiamo l’idea di un marketplace “globale” tra brand e retailer concretizzata da Joor circa sette anni fa.
B2C: una distanza da ridurre
Più di recente, ma nemmeno tanto, i progetti di successo nel campo del retail digitale hanno puntato molto sul concetto della disintermediazione o della “democratizzazione” dell’accesso alle creazioni. È un tema certamente meno sentito in nazioni come la nostra e più in altre dove tutto è davvero mediato dalle grandi catene, come gli Stati Uniti, ma che ha comunque portato a iniziative che hanno esplicitamente voluto scardinare certi equilibri di mercato.
La disintermediazione infatti non è intesa come semplicemente il dare accesso a grandi stock di prodotti di marca – alla “outlet digitale”, per intenderci – ma nel mettere in contatto i consumatori con offerte e nomi nuovi. Tra i casi spesso citati c’è Nineteenth Amendment, che organizza la prevendita al pubblico di nuove collezioni di designer al debutto (o quasi). E con una rete organizzata di fornitori che permette ai designer stessi di produrre on demand piccoli lotti dopo averli venduti online.
Tutti dicono che la partita del retail digitale si gioca sull’essere più vicini ai consumatori e alle loro esigenze, il che però non è solo vendere in maniera più comoda. Guardando al futuro può voler dire offrire servizi di “curation” (e qui c’è spazio per il mantra della personalizzazione) o anche andare oltre il concetto del possesso. Il successo di Rent the Runway e dei suoi capi “a noleggio” può sembrare un po’ estremo ma è un caso interessante di prodotto che diventa servizio.
O meglio ancora passare dalla vendita di prodotti agli abbonamenti: il cliente paga un tanto al mese e noi gli inviamo quello che riteniamo sia meglio per lui (la curation, appunto). È la subscription economy a cui molti guardano dopo i buoni e inattesi risultati in campo beauty (Dollar Shave Club, Birchbox) e fashion (ancora Rent the Runway, TrunkClub), e che si sta estendo dai prodotti per animali ai gadget tecnologici. La tecnologia insomma c’è, servono le idee.