La situazione che si è creata in questi ultimi mesi, dal punto di vista dei modelli di lavoro, ha accelerato l’adozione del cloud pubblico.
È un dato che ci viene confermato anche dal recente studio realizzato da Flexera: State of the Cloud 2020 secondo il quale, oltre la metà delle aziende intervistate, sulla base dei buoni risultati ottenuti durante la crisi di Covid-19, prevede di aumentare in modo significativo l’utilizzo del cloud pubblico.
Ma andare verso un cloud pubblico non significa solamente spostare carichi di lavoro: per ottenere il massimo dei benefici la vera sfida è mettere i giusti workload nell’ambiente giusto.
Solamente in questo modo si possono ottenere prestazioni ed efficienza ottimali. È ovvio che, per rispondere a una emergenza contingente, in un momento in cui molti team IT non erano nelle condizioni di poter accedere ai data center locali, spostare la distribuzione dei workload delle applicazioni nel cloud pubblico è stata l’unica opzione possibile.
Rimane da chiedersi se questa decisione porterà a benefici anche nel lungo periodo e se potrà essere mantenuta nel tempo.
Secondo Alberto Bastianon, Director Presales di Dell Technologies Italia, per fare fronte a una necessità data dall’emergenza, molte divisioni IT hanno semplicemente esternalizzato la gestione delle applicazioni su piattaforme software-as-a-service (SaaS); sebbene questo abbia funzionato per alcuni workload, per altri non è stato così semplice, per altri è praticamente impossibile.
Per essere messe nelle condizioni di trarre il massimo vantaggio dal cloud pubblico, molte applicazioni richiedono infatti interventi importanti in termini di tempo, con una intensa attività di re-platforming o di completa riscrittura. Gli ostacoli da affrontare in un passaggio di questo tipo sono molteplici, richiedono tempo e investimenti importanti.
Aggiungiamo – osserva Bastianon – che una volta risolte tutte le problematiche sul lato applicativo rimangono due altri temi importanti: la sicurezza degli accessi e la disponibilità di banda.
La sicurezza in questo scenario non può più essere pensata in termini di protezione periferica e controllo degli accessi, ma deve diventare una sicurezza distribuita e integrata, tra dati, dispositivi, reti, applicativi e archivi.
La banda disponibile è ancor oggi un collo di bottiglia perché purtroppo il nostro territorio solo in poche zone (le grandi città) ha una connettività a banda larga FTTH che è l’unica che consenta livelli adeguati a regime.
Cloud pubblico, perché adesso?
Chiediamoci allora perché questo processo di adozione del cloud pubblico non è avvenuto prima? Nonostante siano ormai più di dieci anni che le piattaforme di cloud pubblico sono disponibili, infatti, la maggior parte del carico di lavoro delle applicazioni viene ancora eseguito in ambienti IT on-premise, che secondo una ricerca condotta da Enterprise Strategy Group sono considerati importanti dall’89% del campione intervistato.
È per questo motivo che secondo Bastianon molte delle applicazioni sviluppate nel cloud pubblico finiscono poi per essere implementate in ambienti di produzione che girano in ambienti IT on-premise.
Va comunque sottolineato che esistono molte buone ragioni per cui i workload delle applicazioni dovrebbero essere distribuiti localmente: migliori prestazioni, sicurezza e requisiti di conformità.
E per Bastianon non dobbiamo dimenticare un altro espetto importante: il processo di trasformazione in atto, ormai da tempo, porta ad avere a che fare con molte applicazioni di natura diversa dal passato.
Si tratta di applicazioni real time, che elaborano e analizzano i dati il più vicino possibile al punto in cui questi vengono creati e “consumati”. Di conseguenza, questo porta alla creazione di luoghi o ambienti periferici.
Gli utenti, quando accedono alle applicazioni, non gradiscono tempi di latenza. Tuttavia, sarà sempre più efficiente portare l’elaborazione dove si trovano i dati piuttosto che spostare enormi quantità di dati, operazione che ci riporta sia al tema della banda disponibile sia dei costi.
La destinazione è il cloud ibrido
Fatte queste considerazioni, per Bastianon il modello che soddisfa meglio le esigenze di una organizzazione di oggi è quello ibrido.
Il cloud pubblico, sottolinea Bastianon, non si adatta a tutti i workload. Aggiungiamo che le norme e le legislazioni impongono necessariamente una coesistenza di modelli di gestione dei dati e di accesso alle applicazioni.
Oggi la divisione IT di un’azienda deve individuare l’ambiente che meglio soddisfa i requisiti delle applicazioni e delle esigenze della sua organizzazione, che si tratti di data center, cloud privati, cloud pubblici o edge.
Su questa base, creare un modello operativo cloud che abbracci più piattaforme con soluzioni infrastrutturali moderne e ben integrate, in grado di scalare in modo da funzionare al meglio e, sopratutto, che consenta una vera portabilità dei workload in funzione di necessità che possono sorgere dalla sera alla mattina senza nessuno possibilità di previsione.
Diventa quindi centrale il tema di progettare e realizzare architetture note e governabili, ma flessibili, così da consentire di affrontare il prossimo evento imprevisto che capiterà. Mano a mano che si procederà in questa direzione, sarà sempre più evidente che il futuro dell’informatica aziendale è, e sarà sempre, ibrido.
Esempi di scelte di questo tipo?
“Un cliente, provider di rete a banda larga – spiega Bastianon – si è rivolto a noi dopo che si è reso conto che il cloud pubblico sul quale aveva inizialmente pensato di spostare il 70-80% del suo workload non poteva soddisfare tutte le sue esigenze e che in questa operazione stava spendendo troppo tempo nel patching e nella gestione dell’IT legacy. Una scelta insomma che, rispetto alla previsione, si stava rilevando più complicata, dispendiosa in termini di tempo e denaro. Dopo il primo anno, quando aveva spostato solo il 15% del workload, ha compreso di dover seguire una strategia differente. Con la piattaforma Dell Technologies Cloud Platform lo abbiamo aiutato a semplificare le operazioni e a trarre vantaggio dalla gestione automatica del lifecycle. Avendo compreso l’enorme vantaggio di poter disporre di workload e dati che si muovono e vivono tra edge, cloud pubblico e privato, hanno rapidamente ridefinito il loro investimento“.
Questo è alla base di una scelta di un modello cloud ibrido, dove reti e dati interagiscono all’interno di ambienti distribuiti e connessi dove le informazioni vengono memorizzate, recuperate, trasmesse e manipolate.
I dati assumono un grande valore quando sono disponibili nell’applicativo giusto al momento giusto, e sempre più spesso la disponibilità di un dato in tempo reale è ancora più critica.
Sulla base di questo, l’adozione di un approccio hybrid cloud permette la velocità di scala, la gestione e il movimento attraverso una varietà di workload e cloud, garantendo al contempo sicurezza e privacy.