Se la certificazione frena il business

I tempi necessari per passare gli esami non sempre vanno di pari passo con l’evoluzione delle tecnologie e il dealer rischia di perdere opportunità

In definitiva è questione di tempo. Tempo per la formazione, tempo da ottimizzare per bruciare il concorrente, tempo per costruire progetti in fase di pre vendita che poi non viene riconosciuto. E tempo per ottenere le certificazioni richieste dal vendor. La grande quantità di informazioni che il produttore trasferisce ai distributori e ai rivenditori potrebbe non bastare se poi lo stesso vendor, per fornire un nuovo prodotto, richiede il “pezzo di carta”. Insomma, evoluzione tecnologica e certificazioni non vanno di pari passo. E le iniziative di vendor e distributori servono a poco se dall’altra parte c’è un cliente, sempre più spesso competente, disposto a investire in nuove tecnologie ora e subito e pazienza se non sei tu, operatore, che me le venderai: fuori dalla porta c’è la fila.

È uno scenario poco incoraggiante quello che illustra Roberto Petruzzi, responsabile commerciale area sistemi della Disc di Bergamo, intervenuto al nostro Faccia a faccia con il business insieme a Oronzo Stivala, general manager di Bludis, Roberto Riccò, direttore commerciale di Alias, e Dario Zerbi, responsabile per la distribuzione in Italia di Nortel. «Semplificando lo scenario attuale – afferma Petruzzi -, generalmente ci troviamo in due situazioni. C’è il cliente della fascia medio/alta che non si fa trovare impreparato e che, magari, è già tuo cliente, ma si rivolge ai suoi concorrenti o ad altri rivenditori per rimanere aggiornato su tecnologie o prezzi. Dopo che si è fatto un’idea di ciò che gli serve, ci contatta e ci chiede una determinata soluzione o tecnologia. A questo punto, possono iniziare i problemi. Se in azienda non c’è nessuno certificato per quello specifico prodotto o tecnologia, il rischio che il cliente vada da un altro operatore è altissimo. Si telefona al vendor e gli si propone il business, la risposta è, praticamente sempre, una domanda: sei certificato? E, se la risposta è no, è molto probabile che si perda l’ordine». E questo è il danno minimo, aggiungiamo noi. Perché da questo momento si attiva un effetto a catena.

Il cliente va da un altro operatore, che potrebbe diventare il suo nuovo fornitore e il vendor scopre che c’è un nuovo lead. «D’altronde – prosegue Petruzzi – il mercato richiede una buona esperienza su specifiche tecnologie. Questa esperienza si costruisce con passione, investendo in risorse umane e sapendo che ci sarà un ritorno» fino alla prossima novità, però.

Il produttore ci mette la faccia

Il vendor invitato al nostro incontro non può non intervenire. «La certificazione è un dovere nei confronti del cliente finale – spiega Zerbi -, dobbiamo considerare che il rivenditore si mette il cappello Nortel e sta lavorando con la mia faccia. Non si può prescindere da questo». Chiarita la posizione in merito, anche perché la filiale italiana di una multinazionale non può che attenersi alle linee guida della casa madre, Zerbi assicura che i modi per non perdere l’opportunità ci sono. E non si liquida la faccenda spostando il bid su un altro rivenditore certificato. Piuttosto, si fa ricorso a una figura specifica prevista nel programma di partnership di Nortel, lo Specialist support partner. Si tratta di un operatore prevalentemente specializzato in ambito servizi di networking, che ha l’obbligo di essere sempre aggiornato e certificato sulle ultime tecnologie, da affiancare a un partner che ha l’opportunità, ma non è formalmente aggiornato. In questo caso, Nortel garantisce che l’opportunità venga equamente distribuita tra i due operatori senza scontentare nessuno. Così, non si perde l’opportunità e, magari, l’operatore non certificato si decide a investire in tal senso. «Anche se tempo e risorse, purtroppo sono sempre poche» ricorda Petruzzi.

Informazioni in italiano, per favore

E i distributori cosa possono fare in quest’ambito per scrollarsi di dosso il luogo comune dell’essere dei “magazzinieri”? Petruzzi, in verità, non gli riconosce solo il ruolo, poco encomiabile, di box mover, ma ammette l’importanza del loro aiuto in fase di assistenza. Ma non basta. «Per correre al passo dell’aggiornamento tecnologico – afferma Stivala – Bludis punta anche a fare cultura nei confronti del cliente finale». Ma solo quello, ci tiene a sottolineare il distributore, «perché la proposizione dell’offerta è sempre delegata ai nostri rivenditori – specifica Stivala -. È pur vero che, per marchi specifici come ZetaFax, noi di fatto siamo la filiale italiana del vendor, dunque è quasi un obbligo fare cultura presso l’utente finale». Agli strumenti classici di formazione a supporto del rivenditore (corsi di formazione commerciali e tecnici) Bludis ha anche aggiunto una chat durante la fascia oraria lavorativa, che consente anche di prendere il controllo remoto del pc del cliente e risolvere i problemi in tempo reale. Ma si tratta sempre di strumenti postvendita.

L’aggiornamento tecnologico è riservato agli utenti registrati di Bludis, che possono sfruttare le informazioni provenienti dai produttori. «Immediatamente in inglese – specifica Stivala – e dopo un mese anche in italiano», un servizio di traduzione utile visto che, sempre secondo il manager di Bludis, «molti rivenditori hanno ancora problemi di lingua».
Alias, invece, le informazioni le mette a disposizione di tutti, «perché da sempre il nostro parco clienti ci identifica come “reclutatori” di tecnologie» afferma Riccò. È dai tempi della proposizione di soluzioni per Macintosh, infatti, che Alias è riconosciuto, e non soltanto dai rivenditori, come un riferimento per l’innovazione. «Ci teniamo molto a veicolare le informazioni sulle nuove tecnologie – prosegue Riccò – con presentazioni distribuite nelle nostre sedi dei prodotti nuovi e, inoltre, certifichiamo per conto dei vendor».

Imparare dagli installatori

Su un diverso scenario di mercato, cui accenna il rivenditore Disc è un vero campo di battaglia. «Sulla fascia di aziende che vanno dai 60 ai 120 milioni di fatturato – spiega Petruzzi -, dunque più medie che piccole aziende, oltre alla concorrenza di operatori più o meno improvvisati, incontriamo responsabili di sistemi informativi che vogliono fare sempre di più da soli». E allora ci si trova di fronte a infrastrutture fortemente eterogenee condite da tool gratuiti, se non software non licenziati regolarmente. Qui, prima di introdurre qualcosa di nuovo, c’è un lavoro di “pulizia” da fare che, spesso, non viene riconosciuto in termini economici né dal vendor, né, tantomeno, dal cliente. «Il prezzo orario per l’intervento – ammette Petruzzi – praticamente lo fa il cliente, sotto la minaccia di rivolgersi al tuo concorrente che fa pagare di meno. E qui a nulla serve far valere le certificazioni e l’esperienza in un determinato settore».

A questo proposito «si può imparare dagli installatori di telefonia – interviene Riccò -. In specifici ambiti di convergenza, come il VoIp o le applicazioni wireless, ho osservato che l’installatore, e il suo cliente, sono già abituati a ragionare in termini di progetto e non di soluzione. Un’implementazione Wi-fi, per esempio, non può prescindere dalla sperimentazione. L’installatore prepara un progetto da sottoporre al cliente, nel quale a volte non sono neanche specificate le ore spese in attività progettuale. Successivamente è necessaria una prima fase di testing dell’infrastruttura a cui farà seguito una fase di fine tuning. Il tutto fa parte di un progetto complessivo di cui il puro hardware è solo una minima componente, e viene regolarmente riconosciuto e retribuito dal cliente». Gli investimenti in certificazioni e aggiornamento sulle ultime tecnologie, dunque, vengono ripagati dal riconoscimento della fase progettuale da parte dell’azienda cliente.

Try&buy sì ma con giudizio
La formula try&buy (letteralmente: prima prova, poi acquista) potrebbe, allora, essere la panacea per arrivare in tempo sul cliente, consentendo di superare indenni la fase di progettazione? Forse, ma non tutti i vendor ci credono e, in ogni caso, ciò non evita la richiesta della certificazione.
«Il try&buy garantisce un 80% di successo nella vendita» quantifica Petruzzi e Riccò di Alias è d’accordo: «Ci capita di lavorare, insieme al partner, a simulazioni presso il cliente soprattutto in fase di start up di una nuova tecnologia» concorda Riccò, ma non tutti gli ambiti sono ugualmente favorevoli.

Se si propone il VoIp, per esempio, tutti i partecipanti al nostro Faccia a faccia con il business sono d’accordo: è troppo rischioso eseguire delle sperimentazioni. «In quest’ambito – afferma Stivala – più che stare al passo delle tecnologie, bisogna lavorare ancora tanto sull’informazione presso il cliente finale». L’equazione (sbagliata) “VoIp = gratis” è ancora troppo diffusa tra le aziende. E, certificazioni o no, il numero di operatori che si improvvisano in questo settore è ancora troppo alto. «Per questo – conclude Zerbi – è fondamentale costruire un canale qualificato con distributori a valore che fungano da centro di eccellenza per le nuove tecnologie e siano un riferimento per gruppi non numerosi di reseller con competenze riconosciute» e comunque certificate.

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