Seli: «Il vero business è all’estero»

Il presidente della società romana, Remo Grandori, traccia il quadro internazionale del settore tunnel e gallerie

In un periodo in cui tanto si parla di grandi opere e alta velocità, la romana Seli Spa, specializzata nel settore dell’ingegneria del sottosuolo e nella costruzione di macchine speciali per lo scavo, ha progressivamente allargato la sua dimensione a livello internazionale, con importanti commesse in Europa, Asia, America del Nord e del Sud. B2B24.it ha parlato delle prospettive del comparto con il presidente della società, l’ingegner Remo Grandori.

Di che cosa si occupa esattamente Seli e quali sono i lavori più importanti in cui si trova attualmente coinvolta?
Ci occupiamo fondamentalmente di due aspetti. Nell’ambito della costruzione delle gallerie possiamo svolgere la figura dei fornitori delle macchine (le talpe TBM) che vanno a scavare, ma in molti casi siamo piuttosto gli esecutori materiali di un determinato progetto. Tra le nostre opere principali ci sono le metropolitane: attualmente ci stiamo occupando della costruzione di quelle di Vancouver, New York, San Paolo, Salonnico, Atene. In Italia abbiamo da poco terminato la linea 1 di Torino prevista per le Olimpiadi, e presto incominceremo gli scavi per la  B1 di Roma. Come progetti ferroviari, invece, stiamo operando nel Brennero, mentre in Spagna lavoriamo per due tunnel dell’alta velocità sui Pirenei e sulla linea Cordoba-Malaga.

Quale fatturato avete raggiunto nel 2006 e quali sono le prospettive di crescita per il futuro?
Nel 2006 abbiamo registrato un fatturato consolidato di 144 milioni di euro. Nel 2007 dovremmo raggiungere i 164 milioni, con una crescita del 10-12%, in linea con l’aumento medio che la nostra azienda registra annualmente già da una decina di anni. Entro i prossimi tre anni, o al massimo per l’esercizio 2011, puntiamo a raggiungere un volume d’affari di 250 milioni di euro, grazie anche al buon andamento del mercato mondiale. Attualmente la nostra ditta lavora per il 70% all’estero e solo per il 30% in Italia, e questa forbice è destinata ad aumentare: siamo presenti con organizzazioni permanenti in Spagna, Grecia, SudAmerica, Canada, Usa, Cina e da poco anche in India, dove abbiamo costituito una società locale, la Seli India, da cui ci aspettiamo molto.

A cosa è dovuto questo deciso ritmo di sviluppo del settore a livello mondiale?
Tutti i paesi emergenti si stanno dotando di infrastrutture come metropolitane e ferrovie che prima non possedevano. A livello europeo, inoltre, il settore è favorito dalla direttiva europea sull’alta velocità. Infine, c’è un ulteriore ragione: la continua ascesa del prezzo del petrolio ha reso economici gli impianti idroelettrici, che implicano la costruzione di grandi gallerie. Per questo motivo i paesi in via di sviluppo, che devono far fronte a un aumento dei propri consumi energetici, stanno commissionando decine di progetti di questo tipo.

Spesso sulla stampa occidentale rimbalzano accuse di ingenti danni ambientali provocati dalle grandi opere in paesi come Cina e India. Che tipo di standard ambientali adottate quando lavorate in questi paesi?
Tutti i progetti su cui lavoriamo in questi mercati sono finanziati da organismi internazionali e devono aver superato uno studio di impatto ambientale, effettuato con criteri stabiliti dalla Banca Mondiale. In linea generale, inoltre, si può dire che i lavori per costruire le metropolitane hanno anche un impatto ambientale positivo perché contribuiscono a ridurre il traffico e dunque le emissioni. Per quanto riguarda i progetti ferroviari, vale lo stesso discorso, anche se si deve fare molta attenzione a non modificare il regime delle acque all’interno delle montagne. Le grandi costruzioni idrauliche sono quelle che presentano il profilo più critico, e oggi tutti i finanziatori richiedono degli studi d’impatto molto rigorosi per non alterare il corso dei fiumi in maniera critica. Alcuni di queste opere, realizzate e finanziate per intero in Cina, possono sicuramente aver goduto di una minore attenzione ecologica, ma noi non siamo mai entrati in lavori di questo genere.

Quali sono le differenze principali per voi tra Italia e estero, considerando anche tutte le polemiche che accompagnano le grandi opere nel nostro paese?
L’Italia, rispetto all’estero, presenta un forte grado di incertezza: l’acquisizione di un lavoro non vuol dire cominciarlo il giorno o l’anno dopo, anzi, spesso vuol dire non iniziarlo mai. Ci sono tantissimi esempi di lavori appaltati e mai partiti, per problemi di soldi, cambi di governo o polemiche varie. A questo si aggiunge la confusione creata dalla mancanza di  chiarezza sulle competenze: nel nostro paese svariati enti e organismi hanno la facoltà di arrestare all’improvviso un determinato progetto. Questo fuori dall’Italia non può succedere: ecco perché, dal punto di vista di un’impresa che deve fare un piano industriale, scommettere sull’Italia può portare a errori di pianificazione. In passato, ad esempio, abbiamo deciso di non partecipare alla gara per il Ponte di Messina, perché era un progetto non sufficientemente condiviso, mentre siamo invece entrati in appalti più “accettati” come quelli per le metro di Roma e Torino.

Cosa significa per un’azienda del vostro settore fare innovazione?
Noi cerchiamo di fare innovazione sia nel prodotto che nell’organizzazione. Nel prodotto cerchiamo di essere sempre avanti rispetto alla concorrenza, con macchine sempre più efficienti e capaci di affrontare geologie diverse: ogni anno reinvestiamo 40-50 milioni di euro dei nostri ricavi allo sviluppo di macchine innovative. Da un punto di vista organizzativo, invece, innovazione significa per noi riuscire ad adattare la propria struttura all’aumento della dimensione della società e agli incessanti mutamenti del mercato, salvaguardando però la motivazione del nostro personale.

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