SOA, si può partire Ma il viaggio sarà lungo

L’infrastruttura per il nuovo paradigma dell’It è stata preparata. Lo dicono due protagonisti del middleware che, con approcci differenti, concordano sulla fattibilità graduale dei progetti

Ibm è convinta che le Service oriented architecture siano pronte. A riprova, la società cita oltre 1.000 clienti al mondo che stanno avviando progetti utilizzando una proposizione d’offerta, che ora Big Blue definisce completa. Il riferimento è alla rivisitazione recente di WebSphere, momento nel quale tutto il middleware di Ibm ha preso una piega indissolubilmente improntata alle SOA, mettendo a disposizione gli elementi per il ciclo di vita: dalla modellizzazione dei processi all’assemblaggio delle applicazioni/servizi, all’attivazione, fino al monitoraggio. Il tutto mediante quel connettore di servizi applicativi chiamato Enterprise service bus che Ibm ha realizzato riunendo in un prodotto funzioni disponibili nel suo portafoglio. E il tutto partendo dal presupposto che si lavora sfruttando le risorse applicative esistenti, un concetto che sottolineano tutti gli attori coinvolti in questo contesto. Per avvicinarsi a SOA, è necessario passare dall’ottica dell’EAI (Enterprise Application Integration) a quella della Service Oriented Integration, un viaggio che dovrebbe consentire di "ottenere di più dal miglioramento della gestione dei processi di business", come ha sottolineato Piergiorgio Dolci, WebSphere Software south region manager di Ibm.


Come si concretizza un percorso di accesso? "Il concetto – ha proseguito Dolci – è evolutivo e può focalizzarsi sull’integrazione di singoli processi, anche perché la maggior parte delle applicazioni moderne, come Sap o Siebel, posseggono già la granularità necessaria alla riorganizzazione dei loro componenti come servizi". Questo sembra essere lo scenario sul quale si muoveranno tutte le implementazioni nel breve periodo. Stefano Stinchi, che in Ibm Software Group ha il ruolo di WebSphere business integration sales leader per il South West Europe, usa una metafora: "È come se, volendo sostituire una tubatura unica per l’acqua con una struttura più flessibile, si cominciasse con l’inserire uno snodo nel percorso". A quale investimento possa corrispondere una tale operazione non è chiaro: "È difficile quantificare – ha precisato Stinchi – ma il progetto graduale è applicabile anche alla tecnologia". Da parte propria, Ibm propone una terna di modalità con cui è possibile partire. Quelle di base, definite Jumpstarts e Client Architecture Readiness Evaluation, prevedono una valutazione di massima tecnologica e di business. Poi ci sono i SOA Industry Team, con competenze verticali.


Principale antagonista di Ibm nel campo dell’infrastruttura software è Bea Systems, la cui offerta per le SOA è stata presentata quest’estate. Si chiama AquaLogic e va a completare WebLogic, il middleware tradizionale del produttore. Mauro Solimene, amministratore delegato di Bea Systems Italia, ci ha spiegato qual è lo spartiacque tra le due offerte. "Con WebLogic agiamo nell’ambito dell’infrastruttura applicativa. È un mondo fatto da tecnologie di application integration, application server, per la sicurezza, per la costruzione di portali. Il valore di WebLogic è stato quello di condensare in un’unica piattaforma queste funzioni. È un punto differenziale rispetto a Ibm, che propone l’ottica a componenti, sfruttando poi la sua struttura di servizi professionali che cura l’integrazione". Con AquaLogic, Bea prosegue nella stessa direzione. "Qui parliamo però di service infrastructure – ha precisato il manager – per consentire a chi avesse già sviluppato un patrimonio di servizi di trarne vantaggio, in modo ordinato, rendendoli comuni". In questo caso, la visione è simile a quella di Big Blue.


Secondo il vendor, la maggior parte delle aziende, magari quelle con più mezzi, ha già raggiunto un buon livello di "distruted component environement", fatto di blocchi applicativi eterogenei e autocontenuti, (Bea li definisce "congelati") ma, comunque, composti di componenti-servizi elementari. "Anche se nessuno, in Italia e nel mondo, può oggi dire di avere un sistema informatico davvero service oriented – ha sancito Solimene". Bea, in questo contesto, ha in corso in Italia sei progetti pilota che la vedono impegnata con il nuovo middleware. Dal punto di vista funzionale, AquaLogic contiene l’Enterprise service bus che si posiziona sopra ambienti eterogenei (WebLogic può rappresentare una delle risorse indirizzate), il registry per catalogare i servizi, un business process manager e un sistema di monitoraggio. È un approccio tecnologico-funzionale assai simile a quello di Ibm, ma come si diceva, con un’impronta meno componentizzata. I costi della piattaforma seguono il criterio degli altri prodotti Bea. "C’è un prezzo per Cpu che, con un minimo di capacity planning, consente di avere un’idea della cifra in gioco – ha dichiarato Solimene -. L’utente che si rivolge a Bea sapendo descrivere il suo ambiente, può scoprire cosa deve spendere in tecnologia per abilitare una SOA".

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