È stato il tema centrale di tutto il recente Oracle OpenWorld e ancor di più è il perno sul quale si muove tutta la strategia della società.
E oggi, a Milano, Oracle ha dedicato al cloud un’intera giornata di lavoro, per illustrare le sue visioni e le sue strategie e per portare anche la testimonianza di clienti e partner.
Lo scenario è ben delineato da Fabio Spoletini, country manager della società, che così esordisce: “La trasformazione è un tema sentito e per molte imprese diventa ragione di sopravvivenza”.
Se la spesa It frena – Nella visione tradizionale del mondo, la trasformazione veniva guidata dagli investimenti It, “ma oggi è evidente che la spesa It non cresce. C’è un deadlock, un blocco: l’installato vecchio drena risorse e buona parte del budget restante viene speso in attività necessarie, come compliance e sicurezza, che non producono valore per le imprese. Quel che resta non basta a fare innovazione, soprattutto perché parliamo di una trasformazione oggi radicale”.
Recuperi di efficienza – O meglio, non basterebbe, se non ci fosse il cloud. “Il cloud consente recuperi di efficienza, perché non comporta investimenti upfront e nel contempo consente lo sviluppo di nuovi servizi applicativi”, prosegue Spoletini che richiama il ruolo di Oracle in questo “momentum” di business transformation. Un momentum, come avevano sostenuto Larry Ellison e Mark Hurd a OpenWorld, che richiederà un decennio per svilupparsi nella sua pienezza e nel quale oracle giocherà le sue carte con soluzioni costruite su standard e una piattaforma estesa, che a sua volta rappresenta un “unicum” nel mercato.
Orizzonte 10 anni – “Dieci anni sono l’arco di tempo necessario perché il cloud entri nel Dna di tutti”, spiega Spoletini.
Tecnologicamente, il passaggio è evidentemente già possibile, ma non ci sono ovunque le condizioni perché questo avvenga.
“Teniamo presente che siamo stati la prima azienda americana ad aprire i suoi datacenter in Cina. In Russia, ad esempio, questo non è ancora possibile”.
I sei pilastri del cloud totale – Sei sono i principi sui quali la società sta costruendo il suo percorso verso il cloud: i costi, tanto per iniziare – “Costi e Tco devono essere più bassi”, sostiene Spoletini -, poi l’affidabilità, per gestire ambienti e applicazioni mission critical, le performance, grazie all’adozione delle tecnologie più veloci disponibili sia in ambito Database, sia in ambito middleware, sia in ambito analytics. Il terzo punto, ed è quello su cui Oracle fa leva, sono gli standard: “Come con il database il nostro punto di forza era far sì che girasse su tutte le piattaforme, oggi parliamo di Sql, di Hadoop, NoSql, Java, Ruby, Linux…”.
E poiché si parla di un percorso lungo, è necessario garantire la compatibilità, dunque l’integrazione tra premise e cloud, senza lock in.
L’ultimo asset è rappresentato dalla sicurezza, dall’always on ai nuovi processori M7, fino al software in silicon.
Vietato sbagliare – “Stiamo preparando il cloud più completo per le nuove applicazioni, ma soprattutto vogliamo accompagnare i nostri clienti nel loro percorso”, prosegue Spoletini che annuncia la nascita, all’interno della struttura di Oracle, della nuova figura del Customer Success Manager, che entra in gioco nel post vendita, a supporto dei progetti dei clienti.
“Perché con il cloud i clienti si giocano la reputazione. Il cloud è virale: se sbagli qualcosa ti bruci”.
E se è vero che finora i progetti cloud sono stati attivati prevalentemente dalle line of business, è anche vero che secondo Spoletini “non sarà così per sempre. È l’It che ancora non è saltato sul cloud, ma prima o poi dovrà farlo”.