Start up e colossi dai piedi d’argilla. Quali certezze?

Sono partite in molte, tra il ’98 e il 2000, spesso allo sbaraglio, cercando un facile successo nel nuovo Eldorado digitale, spinte dalla generale convinzione che, su Internet, il vantaggio del “first mover” avrebbe premiato chiunque cercasse di esplor …

Sono partite in molte, tra il ’98 e il 2000, spesso allo sbaraglio, cercando un facile successo nel nuovo Eldorado digitale, spinte dalla generale convinzione che, su Internet, il vantaggio del “first mover” avrebbe premiato chiunque cercasse di esplorare un terreno vergine, come è successo per Yahoo!, e-Bay e Amazon. Allora, i giovani top manager delle new company pensavano che per diventare ricchi bastasse un’idea di business un po’ originale, un nome con suffisso finale .com e il supporto di finanziatori, a loro volta esaltati dei risultati che la Borsa elargiva a piene mani. Erano i tempi in cui Microsoft aveva raggiunto una capitalizzazione di 600 miliardi di dollari, seguita da Cisco che ne valeva 560. In casa nostra Tiscali era arrivata a valere in Borsa come la Fiat. Ma tra marzo e aprile del 2000 la bolla speculativa è scoppiata e si è assistito a una discesa inesorabile su tutti i fronti. È bastato, infatti, che all’improvviso i mercati finanziari scoprissero che se gli investimenti non rientrano nel breve termine la “baracca” non sta in piedi, per innescare una crescente sfiducia nelle società di hi tech e portare il Nasdaq dalle vette dei 5mila punti a ben sotto i 2000.

A oltre un anno di distanza, la maggior parte delle start up è caduta lungo strada, dopo aver finito i soldi dei finanziatori, molti dei quali si sono trovati in mano un mucchio di azioni, buone, forse per avvolgere i chewing gum usati. Oggi, negli Usa, molte delle new company sopravvissute stanno licenziando i dipendenti con una velocità ancora maggiore di quando li hanno assunti e stanno altresì affrettandosi per togliere dalla propria ragione sociale il famoso dotcom di cui tanto all’inizio si facevano vanto. Tutto questo scompiglio, e con il classico “senno di poi”, ha portato il mercato e i media a diverse riflessioni e ad analizzare il fenomeno delle start up, e della new economy nel suo complesso, con una diversa lente di ingrandimento. In un contesto, poi, che vede di giorno in giorno opacizzarsi anche la luce delle società più brillanti dell’hi tech, portate solo qualche mese fa come esempio da copiare nell’approccio al B2B. Parliamo di realtà come Hp o come Cisco, il colosso del networking che in questi giorni sta scoprendo di avere un po’ di argilla ai piedi, avendo annunciato previsioni di fatturato in calo del 30%. Per contro, società come Amazon, nata con un modello di business basato solo sul B2C, si è all’inizio vista citare in tutti i convegni come esempio vincente dell’economia digitale, per poi essere data per spacciata quando ci si è resi conto che le perdite erano salite a un valore pari alla metà del fatturato. Ora, però, se dalla società arrivano le buone notizie di un’inversione di tendenza nelle perdite e gli investitori hanno ripreso fiducia, è crollato il mito di Yahoo! quando è stato annunciato un calo del 21% del fatturato a causa di una caduta del mercato pubblicitario su Web. Alla fine, dunque, che consigli dare alle future start up?

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