Attratte da pagine Facebook costruite in pochi minuti, sempre più aziende guardano ai social network per comunicare ma senza identità digitale, target di riferimento, adeguata strategia di comunicazione e spiccate doti di crisis management.
La gestione di una pagina Facebook fa parte di una più ampia strategia di comunicazione ed è, in genere, collegata a incarichi globali di ufficio stampa, gestione crisi d’azienda, relazioni pubbliche e strategie di Web editing.
Ma cosa comporta davvero l’adozione di una strategia social per un’azienda?
Lo abbiamo chiesto a Gabriella Braidotti (nella foto), fondatrice di Threesixty Communication Services, realtà che, come numerose altre in questo settore, dall’attività di ufficio stampa legata al lancio di iniziative, mostre, convegni, ma anche alla creazione del consenso attorno a nuovi enti, ha saputo evolvere verso i nuovi linguaggi della comunicazione aziendale internazionale.
Ne è venuto fuori che, oggi, a tutti i livelli aziendali e in ogni settore, il tema del Web 2.0 è all’ordine del giorno e siccome ormai davvero “tutti ne parlano”, «approcci e strategie possono essere estremamente diversi a seconda di chi se ne occupa».
Ma i rischi sono altri, e l’impressione, semmai, è che le aziende possano nuovamente compiere gli errori già visti agli esordi di Internet, quanto “non avere” un sito equivaleva a “non esistere”, così che «in troppi casi si è finito per investire su uno strumento, più che su una strategia aziendale».
Il punto, allora, non è se “essere o non essere” su Facebook ma interrogarsi sulla propria “identità digitale” e su come funziona il proprio sistema di comunicazione, «sia che siamo professionisti, piccole e medie aziende o multinazionali multisede e multilingua».
Anche perché, definendolo: «Poco costoso, facilmente misurabile, perfetto per costruire relazioni dirette e di fiducia con comunità omogenee di utenti/clienti o potenziali tali» per la fondatrice di Threesixty (e non solo per lei), Facebook rappresenta «un formidabile strumento di marketing sempre meno evitabile, specie dopo gli accordi siglati da Mark Elliott Zuckerberg con il motore di ricerca Bing e con Wikipedia, grazie ai quali su Facebook ci sei anche se non vuoi esserci».
Vista in quest’ottica, anche l’accelerazione degli accordi con Skype, il graduale affermarsi del commercio elettronico e i recenti rumors sul potenziale smartphone firmato Facebook, rendono sempre più accattivante l’ingresso sul social network più conosciuto al mondo anche per chi tanto social non è.
Attenzione, però.
L’obiettivo con cui un’azienda si affaccia sul Web 2.0 e sui nuovi strumenti di Communication & collaboration a disposizione «non dovrebbero mai discostarsi dagli obiettivi dell’azienda stessa che, in primis, dovrebbe interrogarsi su come questa nuova attività possa integrarsi con gli altri elementi dell’identità reale e virtuale esistenti».
Ecco che, allora, per prima cosa, va condotta o fatta condurre un’analisi della propria identità digitale e un’accurata profilazione dei propri target di riferimento.
«Perché, al giorno d’oggi – è l’ulteriore tassello –, Facebook fa parte integrante del mix di strumenti di comunicazione e questo può consentire all’azienda di usufruire di un potentissimo aggregatore di comunità al proprio brand e ai propri valori aziendali contribuendo, così, a una maggiore visibilità/reperibilità online».
Ma cosa devono chiedere le aziende che si rivolgono a terzi per la gestione di una pagina su Facebook?
«Innanzitutto una pagina coerente ai propri valori aziendali, che sia inserita in una strategia consapevole in quanto concordata con i propri pubblici interni, rispetto a potenziali rischi e opportunità monitorati costantemente».
Da un’agenzia specializzata nella comunicazioni con i nuovi strumenti del Web 2.0 i clienti devono poi aspettarsi «l’assimilazione e interpretazione dei linguaggi e dei valori aziendali, ma anche la capacità di identificare diversi target attraverso un’accurata strategia editoriale. Non devono, poi, mancare una adeguata preparazione in ottica di crisis management, capacità di monitoraggio e analisi dei dati per dar vita a report accurati e costanti su questa attività e sulle interazioni con il sito e con altri social network».
Il tutto a fronte di un investimento economico, ma anche culturale, che non solo è richiesto «ma deve anche presiedere a tutte le aree di comunicazione dell’azienda con i costi tipici di una consulenza continuativa che – secondo Gabriella Braidotti –, può andare dai 20mila ai 40mila euro annui, a seconda della complessità del progetto, dove la voce relativa alla sola copertura professionale di Facebook può incidere dai 5mila ai 7mila euro l’anno al netto dei costi di eventuali campagne di advertising».
Un investimento, come si è già detto, misurabile, specie con l’attivazione di micro-campagne collegate al download di cataloghi, visite al sito aziendale, coupon e molto altro ancora.
Ancora una volta, però, occorre fare attenzione.
Non si illuda chi pensa che aprire una pagina Facebook sia solo una questione di pochi minuti. Lo è senz’altro per chi deve costruirla tecnicamente e sa il fatto suo dal punto di vista It o del graphic design.
Altra cosa sono i contenuti e il loro utilizzo strategico perché integrato con le altre attività di comunicazione che permeano l’azienda che decide di comunicare anche via Facebook.
«Qui a giocare un ruolo di primo piano è il professionista delle relazioni pubbliche focalizzato per sua stessa natura sull’ottimizzazione delle relazioni dell’azienda con tutti i suoi pubblici. Una gestione strategica delle pagine Facebook è, infatti, soprattutto una questione di linguaggi, più che di forma o di “azioni promozionali”. Costruire una comunità omogenea non solo attraverso azioni di advertising ma mettendo a fattor comune ciò che si condivide giorno per giorno, diventa centrale per chi è chiamato a rispondere nell’immediato, senza tentare inutili localizzazioni di pagine Web internazionali. Facebook e gli altri social network hanno, infatti, ruoli, funzioni e obiettivi di business completamente diversi dal sito aziendale. Sono piattaforme sociali dedicate a specifici mercati, che parlano a un pubblico per volta ben sapendo che il pubblico italiano ha esigenze, anche banalmente linguistiche, estremamente diverse da quelle del pubblico tedesco, per esempio».
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