Taiwanesi in cerca di partnership importanti

Mirano a collaborazioni forti e poco importa se a discapito del proprio brand. Sono gli operatori con gli occhi a mandorla che sempre di più si affacciano sul nostro mercato

Maggio 2005, Lo Stivale terra di conquista per i Paesi d’Oriente?
Sì, magari, forse. Visto dai padiglioni del recente Cebit il nutrito
pianeta Taiwan appare enorme e variegato e nessuno degli interlocutori con cui
abbiamo parlato si sente di escludere l’Italia come area di mercato. C’è
da dire che l’approccio di un qualsiasi gruppo nei confronti del nostro Paese
dipende dal tipo di prodotti venduti, hardware o accessori, e di conseguenza
dal tipo di mercato di riferimento. In ogni modo, le aziende asiatiche preferiscono
trovare pochi clienti o distributori su cui appoggiarsi che abbiano una visibilità
lungo la Penisola, aspetto su cui gli attori taiwanesi non possono fare riferimento,
ma su cui neanche contano. Questo avviene per lo più per articoli di
una certa spesa. I produttori di hardware spesso importano i loro prodotti attraverso
gruppi italiani che poi mettono il loro nome. È una questione di contratti
e di visibilità di brand, che molto spesso non interessa ai taiwanesi.
Un caso di questo tipo è G-Atlantic, sul mercato da 13 anni, con un’esperienza
pluriennale in Europa: rapportandosi a certe aziende il brand appare, con altre
no. Anche per In Win Development, azienda con oltre 2mila dipendenti e un bacino
d’utenza mondiale, l’aspetto brand non è rilevante. Il nostro mercato
è conosciuto, infatti vengono citati nomi di interlocutori nazionali
come Olidata, che importa i loro computer case e chassis. Anche gli Ups contano
pochi grossi clienti, come Riello.

A ciascuno il proprio partner
Per Linkworld, produttrice di computer case, ma anche di periferiche, l’Italia
è una piazza rilevante. La clientela viene suddivisa in base al volume
di spesa: per quantità esigue ci si rivolge al distributore, in caso
di commesse più sostanziose, invece, viene chiamata in causa direttamente
l’azienda, nella persona dell’addetto vendite per il Sud Europa, Frank Fenn.
Ed è proprio il responsabile tedesco a spiegare le difficoltà
maggiori riscontrate nel mercato italiano: «Non posso tracciare una cartina
con le zone più reattive e quelle meno. Mi baso sugli ordini, che arrivano
dal Centro, Centro Sud, come dal Nord. Come azienda possiamo essere soddisfatti,
le vendite vanno bene, anche se è difficile ottenere una presenza capillare
sul territorio». Il vero problema, però, è nella difficoltà
di comunicazione. «Quando faccio affari voglio parlare con il responsabile
a quattr’occhi, ma in Italia sono pochi i top manager che parlano inglese. Di
solito le contrattazioni avvengono per telefono, con la segretaria che traduce
quello che dico e a una mia domanda dà risposte incoerenti». Chi
non ha avuto esperienza diretta con il modus operandi italiano si affida a qualche
distributore o grosso cliente. È il caso di Acard Technology, azienda
di storage, oppure di Trans Electric, che opera per brand come Panasonic, Zenith
e Citizen. Anche il settore degli schermi ricalca il trend individuato. I due
interlocutori interpellati, Qva e Fullevel, sono della stessa opinione: la prima
azienda ha un’esperienza di soli due anni e sta sbarcando in Europa, la seconda
è sul mercato già da dieci anni ed è presente in Gran Bretagna,
in Germania e Francia, ma non nel nostro Paese. Tutti cercano un partner forte,
in tutti e due i casi senza enfasi per il proprio brand: occorrerebbe una strategia
e un investimento in fatto di marketing che non hanno intenzione di fare.

Per i prodotti di prezzo inferiore lo scenario cambia leggermente. Vosonic,
per esempio, è una realtà piuttosto conosciuta, produttrice di
articoli di target consumer, come lettori Mp3, accessori per computer e macchine
fotografiche digitali. È presente sul suolo italiano tramite un distributore,
che si è preferito non rendere noto, e ha acquisito una certa visibilità,
tanto da essere sullo scaffale dei punti vendita di Fnac. Anche Dynapoint, che
produce mouse e simili è nella stessa situazione, con distributori e
un cliente come Carrefour. Per i piccoli sembra più facile sfondare,
visto che si accontentano di numeri modesti, anche se la concorrenza rimane
durissima. Nonostante manchino strategie definite, il mercato è sicuramente
in fermento e ha fame di nuovi acquirenti e nuovi segmenti di business.

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