Tutti dicono “I love Soa”. I fornitori si dichiarano business oriented

Il tormentone di fine maggio è stato: Service oriented architecture. I principali vendor lo hanno cantato, chi sul palco delle user conference, davanti a migliaia di persone (Computer Associates e Bea), chi nelle “sale prove” dei test center (Ibm). È già diventato un “classico” dell’It aziendale.

Service oriented architecture: un castello applicativo in cui le funzioni sono definite con un linguaggio di descrizione e hanno interfacce, indipendenti dalla piattaforma, per innescare processi di business. Queste sono le Soa, cioè le figlie di Corba, di DCom e anche dei Web service. Ovvero, l’oggetto del desiderio di tutti i fornitori di infrastruttura It. Per capirlo, basta guardare cosa è successo negli ultimi dieci giorni. Partiamo dal CaWorld, la manifestazione che Computer Associates dedica a utenti e partner. Il messaggio loro veicolato è stato quello riguardante la necessità di creare un’infrastruttura integrata, in grado di autogestirsi e amministrarsi. Il concetto, secondo Ca, diventa pratica con la creazione di ambienti dinamici, che siano, per natura, una risposta alle esigenze delle imprese e in grado di assicurare la correlazione delle informazioni che transitano sulle applicazioni. Ca pensa che Web service e Soa siano il fondamento di un approccio alla gestione delle risorse It basato sull’utility computing e sull’on demand di asset e applicazioni. Unicenter Wsdm 3.1, Web Services Distributed Management esemplifica l’idea di un tool che garantisce il presidio dei Web service e degli ambienti basati su architetture Soa, fornendo una console per la gestione centralizzata delle Soa in ambienti on demand, ed estendendo le funzionalità tipiche delle soluzioni di gestione delle infrastrutture It alle tecnologie Xml o Corba.


Contestualmente a quello di Ca, la nona edizione dell’eWorld, l’appuntamento annuale di Bea Systems, ha avuto come claim “Deploy Soa. Now”. Ovvero: “fare Soa, adesso”. Bea, con semplicità, ha spiegato le ragioni per cui le Soa devono guidare la tecnologia aziendale: per rendere l’It più efficiente e rispondente alle esigenze di business. E ha anche coniato il proprio termine per riassumere tutto questo, liquid computing, a sottolineare la necessità di raggiungere la flessibilità, applicativa e operativa.


Tanto semplice l’assunto, quanto imponente l’impegno a cui tutto il complesso, di fornitori e utenti, è chiamato. Allo scopo Bea collaborerà anche con la comunità open source allo sviluppo di un framework. La società vuole mettere a disposizione degli sviluppatori WebLogic Workshop, il proprio tool di sviluppo rapido, per incrementare il numero di soluzioni sviluppate sulla propria piattaforma Java. La società offrirà la tecnologia con una licenza open source (Bsd), nell’ambito di un’iniziativa battezzata Beehive. Fondamentale, anche, il ruolo dei partner. Come Hp, che condivide con Bea la visione Soa, collocandola in seno alla strategia dell’Adaptive Enterprise, tesa ad automatizzare i cambiamenti dei data center degli utenti al mutare delle loro esigenze lavorative.


Austin (Texas), Delhi (India), Hursley (Inghilterra) e Pechino (Cina), invece, sono diventate le capitali delle Soa secondo Ibm. In queste quattro località Big Blue ha aperto altrettanti centri di competenza per le Soa, per la loro configurazione e diffusione press gli utenti. Li ha chiamati Design Center, a evidenziare la componente progettuale, un misto di It e business, che trova compimento solo se è coinvolto l’utilizzatore del servizio. Potrebbero definirsi laboratori operativi, di educazione all’uso del software Ibm abilitante la costruzione di architetture di servizi, il cui fine è l’on demand.

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