L’approccio più diffuso, i vantaggi, le difficolta, l’ibrido e il rapporto con Iot e Ai spiegati da Marco Bubani, direttore innovazione di Vem Sistemi.
Il mercato del cloud oggi non è più una nicchia ristretta, ma un mercato consolidato che ha raggiunto ormai una dimensione rilevante come dimostrano le stime dell’Osservatorio Cloud Transformation: nel 2018 il mercato Cloud italiano ha toccato quota 2,34 miliardi di euro, in crescita del 19% rispetto all’anno precedente (1,97 miliardi). Ma, quali sono i principali vantaggi del cloud? Ne ha parlato Marco Bubani, Direttore Innovazione Vem Sistemi, system integrator italiano.
“Il cloud è un fantastico abilitatore digitale – sostiene il manager di Vem Sistemi –. Da molti viene definito ‘la cassetta degli attrezzi dell’innovazione’ ed è una definizione che personalmente condivido. La velocità con cui i cloud provider rendono disponibili nuovi servizi e tecnologie o aggiornano quelli esistenti è ormai elevatissima e sta ulteriormente accelerando. È possibile scegliere fra servizi di basso livello con i quali costruire soluzioni proprie oppure applicazioni complete fruibili come prodotto finito o come ‘servizio’ come avviene per l’erogazione della corrente elettrica, dell’acqua o del gas”.
Secondo Bubani, i vantaggi che derivano dall’impiego del cloud sono molteplici. Fra i più evidenti cita la rapidità con cui è possibile accedere a servizi e applicazioni che prima necessitavano di pianificazione, l’approvvigionamento di hardware e software infrastrutturali e la scalabilità con la quale il cloud è in grado di seguire la crescita o il ridimensionamento dell’azienda e la possibilità di erogare servizi worldwide per chi ha organizzazioni diffuse in tutto il mondo come le grandi reti di negozi o le società multinazionali.
“Tuttavia l’utilizzo del cloud implica particolari punti di attenzione e un cambio di approccio – prosegue Bubani –. Sicurezza e Gdpr vanno attentamente considerati quando si valuta il passaggio verso il cloud. I big provider, hanno tutti datacenter localizzati in UE e forniscono garanzie di sicurezza e affidabilità esemplari. Tuttavia, ciò potrebbe non essere sufficiente a garantire il trattamento dei dati nel totale rispetto dei provvedimenti. Anche la parte contrattuale non è da trascurare, tenuto conto che le dimensioni dei colossi digitali non favoriscono grande apertura nella negoziazione delle clausole che regolamentano il rapporto fra le parti”.
Il cambio di approccio dalla logica di costi certi, fatti a investimento, a una logica di costi a consumo può essere una barriera. In quanto è raro che un’organizzazione lavori esclusivamente in cloud: le soluzioni sono quasi sempre ibride con una parte di servizi digitali in casa e una parte in cloud. “Questo è l’approccio più diffuso – aggiunge Bubani – e che richiede un’elevata capacità di integrazione fra due mondi complessi”.
“È importante prendere in considerazione – afferma il direttore innovazione di Vem Sistemi – il lock-in che alcuni servizi proprietari generano: se si vuole mantenere un certo grado di libertà dal cloud provider è un aspetto da non sottovalutare. Le aziende, pur comprendendo i punti di attenzione e il cambio di approccio necessario ad affrontare questo nuovo paradigma, non sono più disposte a rinunciare ai vantaggi che il cloud offre. Una larghissima percentuale di Cio europei ha dichiarato recentemente a Gartner una diminuzione degli investimenti in datacenter locali e un conseguente aumento di risorse investite in servizi cloud. Le nuove generazioni di Cio sono sicuramente più culturalmente propense a consumare It in cloud”.
“Inoltre, in base all’esperienza di Vem Sistemi – continua Bubani – capita sempre più spesso di trovare affermazioni come ‘cloud first’ nelle richieste di progetto delle aziende, che prima di fare un investimento IT valutano l’opzione cloud. D’altro canto, chi ha già fatto la scelta di avere una parte del sistema informativo in cloud, si aspetta tutti i servizi a corredo anche in quell’ambiente (sicurezza, backup, monitoraggio, controllo solo per citarne alcuni)”.
La scelta del cloud provider: aspetti di cui tenere conto
“Scegliendo un Cloud provider – sostiene Bubani – gli aspetti di cui tener conto sono davvero tanti e variano a seconda del servizio che si sta considerando. Se si parla di “big digital”, ognuno ha le sue peculiarità ed è più forte su alcuni aspetti rispetto ad altri. Per esempio, c’è chi ha servizi di analisi dei dati più sviluppati e chi ha integrazioni con sistemi tradizionali più spinti di altri. In generale, il consiglio è di affidarsi a un Cloud System Integrator in grado di accompagnare l’azienda nel suo personale percorso verso il cloud. Inoltre, sono da analizzare anche il livello di affidabilità del provider, la gestione degli aspetti legati alla sicurezza e i servizi messi a disposizione. Ormai tutti i principali provider offrono servizi di sicurezza, riservatezza e tutela del dato tecnicamente molto avanzati e certificati da innumerevoli analisti internazionali (servizi di crittografia, segregazione, monitoraggio degli accessi, autenticazioni a più fattori etc.). Più complesso invece è garantire il rispetto delle normative legate a policy comportamentali che sono slegate dalla mera componente tecnologica”.
Il cloud ibrido
Per la distribuzione delle risorse cloud sono disponibili diverse opzioni, per esempio il cloud pubblico, privato e ibrido. Tutti e tre gli scenari offrono vantaggi simili in termini per esempio di prestazioni, affidabilità e scalabilità, ma il metodo di distribuzione scelto dipende dalle esigenze aziendali. “È sempre più diffusa – spiega Bubani – la necessità di spostare carichi di lavoro in cloud mantenendone una parte in casa, oppure di lavorare in senso opposto: ovvero, sviluppare servizi molto rapidamente sfruttando i vantaggi e le tecnologie del cloud per poi riportarli in locale per motivi di latenza del dato, per esempio. Inoltre, sta anche aumentando la necessità di lavorare in modalità multi-cloud, sfruttando il meglio di ogni cloud provider. Non credo esista una reale alternativa al cloud ibrido: i cloud ibridi combinano l’infrastruttura locale, o cloud privati, con i cloud pubblici, in modo da consentire alle organizzazioni di sfruttare i vantaggi di tutte le piattaforme che devono integrarsi e convivere. È per esempio possibile usare il cloud pubblico per la posta elettronica basata sul Web e il cloud privato o un’altra infrastruttura locale per operazioni con dati aziendali sensibili, come quelle finanziarie. Il cloud ibrido offre così alle aziende più flessibilità e possibilità di sviluppo attraverso una gestione dinamica”.
Cloud, IoT e AI
L’unione ideale tra Iot e Intelligenza Artificiale non è possibile senza una piattaforma e un’architettura abilitanti. L’Ai ha bisogno dell’IoT per ottenere le enormi quantità di dati che le occorrono per generare previsioni utili e di valore. “L’Iot, che genera un’enorme mole di dati – conclude Bubani – ha bisogno dell’Ai per estrarne il valore. Il cloud è l’ambiente ideale dove i due si incontrano: possibilità di sfruttare algoritmi di Ai allo stato dell’arte, scalabilità infinita per la gestione dei dati, servizi di connessione fra il mondo fisico e quello virtuale e logico. Un modello da perseguire non nel lungo periodo, ma ora per essere competitivi”.