Viaggio in un’azienda del mondo della moda

Voglia di crescere e tanti stimoli da e per le terze parti It

Correva l’anno 1995, il Mariella Burani Fashion Group, un nome noto al
grande pubblico, che aggrega al suo interno molti brand di primo piano nel mondo
della moda, era pronto per entrare, senza complessi, nel Gotha della moda internazionale.

«Allora non esisteva una tecnologia aziendale – afferma Alessandro
Cardelli
, It manager del Gruppo – c’erano solo le cose essenziali,
legate alla parte amministrativa. L’informatica distribuita stava nascendo in
quel periodo. Era un momento importante, l’azienda si stava espandendo e occorreva
mettere in contatto più realtà».
Oggi l’azienda dispone
di sette server e 250 pc collegati in rete, con un’infrastruttura completamente
in fibra ottica, tra le prime a essere impiantate in Italia, soprattutto se
si pensa che il cablaggio, in un’azienda di quelle dimensioni, allora poteva
essere considerato azzardato.
Ma quali sono state le tappe di un’evoluzione così rapida e rischiosa?
«Siamo partiti con un progetto pilota
– spiega Cardelli – dopo
aver individuato le persone più motivate al cambiamento e averle formate
su emulazione del nuovo quadro di riferimento. In quel periodo avevamo diviso
le funzioni in sei aree ognuna con un pc dedicato. Il processo di crescita è
stato molto rapido, in un anno e mezzo tutti usavano Office e alcuni avevano
già scoperto la comodità della comunicazione tramite e-mail. Oggi
gran parte del personale usufruisce dei servizi Internet, la rete è cresciuta
notevolmente e ci sono collegamenti intranet con le boutique e gli show-room.
Anche la forza vendita, composta da agenti monomandatari, si collega in remoto
con l’azienda. Ma non bisogna pensare a uno sviluppo solo tecnologico, l’azienda
è esplosa proprio in quel periodo e non soltanto per la quotazione in
Borsa. L’evoluzione tecnologica ha fatto da corollario alla crescita della società»
.

Uno sviluppo così tumultuoso è stato possibile anche alla collaborazione
di terze parti dell’It. Tra queste un ruolo decisivo l’ha svolto
Sedoc, una software house che ha accompagnato la società emiliana fin
dalla sua nascita. Una struttura societaria che potremmo definire ‘semicaptive’
anche se buona parte del suo fatturato oggi proviene da rapporti con altre aziende
dell’area di Reggio Emilia.
Quella di Sedoc è una storia esemplare che illustra come si è
sviluppata l’informatica aziendale nel nostro Paese. La società
nasce nel 1973 e subito diventa la software house di riferimento del futuro
Mariella Burani Fashion Group, che allora si chiamava Selene. Come spesso avveniva
il rapporto è molto stretto e l’azienda decide di investire in
questo importante partner acquistando una quota del capitale, facendola diventare
di fatto un’azienda del Gruppo. Sedoc è il punto di riferimento
per la parte software: dalle scelte applicative alla parte gestionale, dalla
contabilità alla finanza. Ma Sedoc si muove anche da sola, conquistando
una posizione importante nel territorio. Oggi conta 1.400 clienti e vi lavorano
130 persone che nel 2002 hanno portato a casa un fatturato di 5 milioni di euro
con una crescita superiore al 25 per cento.
«Per noi Burani è stata una referenza importante che ha permesso
di instaurare un rapporto particolare
– spiega Carlo Buttà, presidente
di Sedoc – senza rinuniciare all’espansione di nostre attività autonome.
Ormai nel Gruppo siamo una realtà consolidata e adesso stiamo pensando
anche noi di fare delle acquisizioni legate all’It. Proprio la capogruppo ci
ha insegnato che se ci sono competenze e professionalità interessanti
l’acquisizione conviene ed è un giusto modo di fare business»
.

Accanto a questa realtà Cardelli parla di altri partner scelti di volta
in volta, quasi sempre realtà locali, radicate nel territorio e non prive
di esperienze interessanti in precisi ambiti di specializzazione. Ecco i criteri
con cui lui stesso li ha selezionati. «Faccio molti colloqui prima
di adoperare una scelta
– precisa -. Molto dipende dalla loro specializzazione,
ma prediligo società non troppo grandi, le considero più pronte
e reattive e in genere erogano servizi di buona qualità e sono tempestive.
Cerco, in ogni caso, realtà consolidate e vicine, perché abbiamo
bisogno di risposte veloci. Il resto è determinato dalle necessità
del momento e dal criterio della massima trasparenza rispetto a tutti i nostri
potenziali fornitori»
.
La trasparenza di cui parla Cardelli non è frutto solo di una logica
presente nel Gruppo, ma risiede anche nel suo passato. Prima di approdare da
Mariella Burani, infatti, Cardelli aveva lavorato come fornitore, per questo
ha rispetto per il lavoro dei suoi ex colleghi e non risparmia a loro consigli.

«Credo che le figure commerciali pure in questo ambito non paghino,
le terze parti dovrebbero affidarsi di più a persone che abbiano competenza
commerciale, ma anche un forte background tecnico. L’approccio più corretto
è quello dell’interlocutore unico, so che una figura professionale di
questo tipo è rara e probabilmente costa anche molto di più, ma
credo che abbia un valore aggiunto in più rispetto al commerciale, proprio
perché unisce dimistichezza con gli argomenti e capacità di relazione,
ancor meglio se con una certa specializzazione sul prodotto»
.
Già, ma come si entra nel "cuore" di un It manager in un periodo
di rallentamento economico? «Le confesso – risponde Cardelli
che non mi accontento di chi fa solo quello che voglio io. Litigo quasi
tutti i giorni con i miei fornitori, soprattutto per quando riguarda il rapporto
costi/servizi, ma ho bisogno di avere anche qualche suggerimento. Il rapporto
per essere creativo e costruttivo deve essere bidirezionale. La crisi economica
la si affronta guardando a quello di cui siamo costretti a occuparci come It
manager: miglioramento dell’efficienza, ottimizzazione dei processi e integrazione,
il tutto considerando in modo appropriato i budget, che in questi casi vengono
ridimensionati»
.

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