In apertura di Discover, l’evento europeo che HPE dedica alla sua innovazione tecnologica e a poche ore dalla presentazione del primo prototipo funzionale di The Machine, ovvero del progetto di ricerca sul memory based computing, Meg Whitman, Ceo della società, ha pubblicato una interessante nota che ben chiarisce la vision di HPE sull’evoluzione del computing.
I sistemi di oggi, dai computer agli smartphone, scrive Whitman, sono basati su una piattaforma che non è cambiata in 60 anni e che arrivata a questo punto potrebbe addirittura rappresentare un limite allo sviluppo futuro, così come noi lo vediamo.
Le architetture tradizionali non bastano
Entro il 2020, 20 miliardi di dispositivi connessi genereranno volumi record di dati, senza contare il numero di informazioni che ci aspettiamo possano derivare dalla crescita dell’Internet delle Cose. E i supercomputer di oggi non sono in grado di tenere il passo con il bisogno di ottenere in tempi rapidi informazioni utili e utilizzabili da quella massa di dati. “Per farla breve, i computer di oggi non sono in grado di sostenere il ritmo di innovazione necessario per sostenere un mercato connesso globale”.
Whitman richiama la vocazione di PHE all’innovazione. Una vocazione figlia di 75 anni di storia, che parte dall’oscilloscopio e arriva alla composable architecture e che oggi approda dunque a The Machine e al Memory Driven Computing, che ha in sé le potenzialità per cambiare le regole.
Cos’è il memory driven computing
Whitman spiega che il Memory Driven computing ha la potenzialità di garantire un vero e proprio salto prestazionale dal momento che mette la memoria, non il processore, al centro dell’architettura, dunque incrementando la scala della capacità computazionale ottenibile.
Nell’idea di Whitman, HPE arriverà a portare questa tecnologia in tutta la sua offerta, dai server a tutto quanto occorre ai datacenter di domani, così da garantire piattaforme avanzate in grado di trarre valore dal paradigma dell’IoT.
The Machine è nato come progetto di ricerca con l’obiettivo di migliorare la velocità, l’efficienza e la performance computazionale e finora ha portato notevoli innovazioni nell’ambito della fotonica, delle memorie non-volatili, delle architetture di sistema.
Ora, con questo prototipo, HPE è in grado di dimostrare che il Memory Driven Computing non solo è possibile a livello teorico, ma è una realtà.